«Alaji Amin, un palestinese di 38 anni, è stato arrestato perché indagato per associazione terroristica internazionale. È un aderente all’Isis. E ha progettato una modalità di attacco attraverso ricina e antrace». Lo ha detto ieri pomeriggio, durante una conferenza stampa a Roma, Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. «L’indagine nasce a settembre – ha aggiunto il magistrato – quando ci è stato comunicato che in Sardegna un palestinese si stava muovendo per agire durante una prossima festività».

Amin è stato catturato ieri mattina a Macomer, nel Nuorese, durante un blitz dei carabinieri dei Nocs in una via del centro della città. Il palestinese è stato bloccato alla guida di un furgone. I carabinieri hanno aspettato che Aminun uscisse di casa e quando è salito a bordo del veicolo lo hanno immobilizzato e portato nel carcere di Badd’e Carros, a Nuoro. L’uomo era disarmato e non ha opposto resistenza.

«L’indagine – ha aggiunto De Raho – è partita a settembre. Le informazioni sono arrivate alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo dopo l’arresto in Libano di un cugino dell’uomo fermato in Sardegna», accusato di aver tentato di avvelenare una cisterna d’acqua utilizzata dall’esercito libanese. Amin è stato pedinato e intercettato per mesi. Le indagini hanno ruotato intorno al presunto tentativo da parte del palestinese di acquistare materiali che sarebbero dovuti servire per preparare un attentato chimico. Secondo le indiscrezioni filtrate ieri, il progetto al quale Amin avrebbe lavorato sarebbe stato quello di avvelenare serbatoi e acquedotti.

Amin, che ha un regolare permesso di soggiorno ed è arrivato in Sardegna da un campo profughi palestinese in Libano, abitava da alcuni anni a Macomer in una palazzina del quartiere di Scalarba. Viveva in un appartamento con la sua famiglia: la moglie, originaria del Marocco, e quattro figli, che vanno tutti regolarmente a scuola. Nello stabile era conosciuto da tutti come una persona mite e tranquilla.

Il 38enne libanese non lavorava ma percepiva assieme alla sua famiglia un sussidio a causa della sua condizione di indigenza. La casa dove viveva è un’abitazione popolare assegnata alla moglie dell’uomo quando ancora viveva da sola con i figli nati da una precedente unione. Nei prossimi giorni si potranno capire meglio i contorni di una vicenda che al momento ha non pochi lati oscuri.