Nel proliferare di segni di ideologie e pratiche che un po’ all’ingrosso possiamo etichettare come «fascismo», quanto sta accadendo sul «fronte orientale», in particolare nella sua capitale, Trieste, ha assunto in quest’anno, centenario della fondazione dei Fasci di Combattimento, caratteri inquietanti.

Il «giorno del ricordo» del febbraio scorso, con le grottesche dichiarazioni a Basovizza di Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo, concluse con l’invocazione di Istria e Dalmazia «italiane» (arrivando al limite dell’incidente diplomatico con Slovenia e Croazia), e il fuoco di fila della destra, locale e nazionale, nell’imbarazzato silenzio della storiografia e della cultura triestina, con poche lodevolissime eccezioni. La destra giunta recentemente al governo di città e regione, ha cominciato da allora ad accelerare in un percorso di sfacciato revisionismo, che nelle ultime settimane sta giungendo a forme estreme, di autentico «rovescismo».

IL PUNTO d’arrivo è l’inaugurazione, avvenuta ieri, di una mostra su D’Annunzio e Fiume, con un intervento cabarettistico spacciato come «lectio magistralis» del curatore, Giordano Bruno Guerri, accreditato come storico (ovviamente revisionista) oltre che opinionista su media amici; tutte credenziali che lo hanno portato alla presidenza della Fondazione Il Vittoriale di Gardone Riviera, la sontuosa e mortifera villa in cui D’Annunzio soggiornò per quasi un ventennio, mantenuto da Mussolini. Il Vittoriale promuove la mostra, la quale fin dal titolo («Disobbedisco. La rivoluzione di D’Annunzio a Fiume»), che è lo stesso del libro di Guerri su D’Annunzio, dà una precisa interpretazione del «poeta-vate» qualificato come (assai improbabile) «disobbediente» all’insegna di una tentata separazione, e contrapposizione tra D’Annunzio e il fascismo, mentre l’occupazione di Fiume è spacciata come «rivoluzione».

LE BISLACCHE «tesi» di Guerri sono state rilanciate dall’Amministrazione comunale (Lega/Forza Italia). Ecco che cosa dichiara il sindaco Di Piazza: l’episodio di Fiume «merita di ritrovare la giusta collocazione attraverso un racconto corretto, chiaro e libero da fantasmi propagandistici che ne hanno alterato il contenuto e la portata». Oltre alla mostra, ad abundantiam, si è deliberata la realizzazione di un monumento al «Vate», che dovrebbe essere inaugurato per la ricorrenza del centenario dell’impresa fiumana, il 12 settembre. Il tutto per la modica cifra di 382 mila euro.

Le proteste di associazioni democratiche e antifasciste locali (il Circolo Modotti e il gruppo Resistenza Storica, in testa) e il loro appello con numerose firme di studiosi, non sono valse a fermare la decisione, su cui ci sono stati equivoci, nei quali, per esempio, è caduto anche un triestino eccellente, Claudio Magris, che sul Corriere, sbagliando obiettivo, ha difeso la statua, ritenendo che la mobilitazione contraria abbia colpito un letterato: e invece no, qui non si intende celebrare l’autore del Piacere o del Trionfo della morte, bensì un attore politico, che dopo essere stato il più sguaiato promotore delle campagne nazionaliste e imperialiste (la Libia, la Grande guerra, la «Vittoria mutilata»…), e aver fatto da sponda a Benito Mussolini, fu protagonista, con complicità militari, della «gesta», l’occupazione di Fiume, e la creazione di un effimero Stato.

DA ANNI una corrente mediatico-storiografica presenta Fiume come un luogo di libertà, che anticipò addirittura i movimenti degli anni Sessanta. Fiume fu invece la prova generale della Marcia su Roma, specie nel momento in cui la componente nazionalista ebbe il sopravvento su quelle anarco-libertarie presenti inizialmente. Lo ribadisce il sindaco di Rijeka (Fiume), Vojko Obersnel, che annuncia passi ufficiali con le autorità italiane, scrivendo tra l’altro: «Le iniziative che festeggiano l’occupazione delle terre degli altri, sono in opposizione con la politica europea, che, come una delle proprie basi, ha l’antifascismo».

NON È FINITA. In aggiunta a mostra e monumento, oggi si tiene a Trieste un’altra preoccupante iniziativa che ricorda i fatti del 13 luglio 1920, quando i nazionalfascisti italiani assaltarono e distrussero l’Hotel Balkan, sede del Narodni Dom, la «Casa nazionale» degli slavi (con biblioteca, teatro, sale di incontro…). Fu il primo atto organizzato dello squadrismo in grande stile, dopo l’assalto all’Avanti! a Milano del 15 aprile 1919, con identica conclusione: le fiamme, gli omicidi, l’impunità straordinariamente raccontate dallo sloveno-italiano Boris Pahor. Ebbene, gruppi revanscisti hanno organizzato una “conferenza” che nel testo d’invito è un esempio spudorato di rovesciamento della verità storica. In esso si additano “gli jugoslavisti” come responsabili dell’incendio e delle morti. E proprio oggi il presidente sloveno Borut Pahor sarà a Trieste a commemorare l’eccidio del Narodni Dom del 13 luglio 1920 per mano dei fascisti. Erano anni che il rovescismo non toccava questi abissi. La Trieste (e l’Italia) intellettuale, democratica e multietnica, lo può tollerare?