Siamo nel ’71 e Nanni Balestrini pubblica Vogliamo tutto, il testo che più ha caratterizzato la voce delle sommosse dei movimenti operai e studenteschi. Un «genere narrativo fatto dalle masse, per le masse» che è anche esperimento della voce che si oppone al linguaggio. Alfonso Natella è voce narrante, protagonista di quella parte di operai del sud che reclamano la promessa di una vita in «blue-jeans e lambretta». Un esperimento scrittorio che assume i toni di una lotta, quella del Sessantotto (…), una potenza narrativa che ci racconta il metodo balestriniano di opporsi al potere con il suo quotidiano: la scrittura e la modalità epico-politica di restituirci parole e voce.

IN UN’ATMOSFERA ancora febbrile, cinquant’anni fa, Nanni Balestrini pubblicava il testo di una generazione: è la voce delle sommosse dei movimenti operai. L’autore è al suo secondo romanzo, la sua poetica è nota per aver scosso le fila di una certa letteratura purista già con i suoi primi contributi (Linguaggio e opposizione, 1961, Il sasso appeso, 1961, la prima mostra Cronogrammi 1961, i «poemi piani» di Come si agisce, 1963). Dopo la pubblicazione della prima edizione di Tristano nel 1964 – uno dei suoi esperimenti più radicali nella gestione di un romanzo – Balestrini ci restituisce la voce di un operaio salariato di fine anni Sessanta.

La messa in atto di Alfonso Natella è ritmo, fraseggi che compongono il testo in un «flusso continuo» di partiture e tonalità. Un romanzo che non può sembrare semplice prosa, le parole si accavallano, altre si annunciano per poi celarsi, mentre la voce del protagonista si manifesta. Un proletario meridionale, che, come dice Balestrini in Prendiamoci tutto, è un personaggio non ideologico perché è un operaio senza partito, disinteressato al lavoro: «Ed è da qui che bisogna partire per affrontare le obiezioni su una sua collocazione di destra piuttosto che di sinistra». Ma allora – si dirà – se non dalla sinistra o dalla destra, da dove proviene questa figura dell’operaio-massa? La rivoluzione lessicale di quegli anni è in divenire e Balestrini ne è protagonista: una «moltitudine» a cui converrà Toni Negri nella sua successione di categorie che si sfaldano, presupposto ontologico dell’essere contemporaneo.

LE INTUIZIONI e usi balestriniani della scrittura, propongono Alfonso prima con parole dinoccolate, prive di senso corale, poi avvolte da un crescendo di «grossi fatti collettivi» che a partire dalla manifestazione del primo maggio, ci restituiscono un «divenir-altro». Una figura che ha gradualmente imparato a conoscersi come merce. Prima a Brescia, poi a Milano e infine a Torino alla Fiat di Mirafiori, per divenire protagonista della lotta operaia, di una voce collettiva. Questa narrazione del singolo protagonista di Vogliamo tutto è già un’azione che sembra comprendere quel moto dei «concatenamenti collettivi dell’enunciazione» – teorizzati in Kafka. Per una letteratura minore. (Deleuze, Guattari). Se «ogni enunciato è sempre il frutto di una produzione collettiva anche quando sembra emesso da una singolarità» allora avvertiamo già dai primi capitoli come sia sentita per Balestrini la fondamentale necessità di rendere evidente l’emergenza di una nuova parola corale, obiettivo ultimo del Nostro. L’oralità è l’estrema soluzione per veicolare che c’è altro da «tradurre» in una visione della letteratura come mezzo di protesta, pratica sovversiva della scrittura che viene depotenziata dalla sua carica «alfabetica» per cercare quel qualcosa che manca e situarsi in una voce nella scrittura.

COSÌ BALESTRINI, come in una bozza ancora da correggere, omette la punteggiatura e utilizza il ritmo frasistico delle lasse calcolando le tonalità, le combinazioni e i ritmi delle lettere. Il testo che è anche reiterazione di stralci di volantini e manifesti dell’epoca, è strutturato sulla quasi totale assenza della punteggiatura. Caratteristica che richiama, per Gian Paolo Renello, quel punto metrico che a differenza del punto fermo, «funge da vero e proprio separatore di frasi viste come segmenti versali rinvenibile ad esempio nei manoscritti della lirica provenzale», riferimento che introduce la «dimensione epica». Tramite questa intuizione il romanzo acquisisce i vezzi di una lingua parlata più schietta e intima ma che è anche opposizione: una precisa scelta in cui l’autore c’è e decide come narrare i fatti.

Questa modalità di sconfinare la scrittura nella voce, aspetto parziale ma strutturale del capitalismo, risponde alla sua volontà poetica di sgretolare convenzioni e categorie. Scrittura e voce, motivo di discussione secolare di filosofi e grammatologi, sono collocate nel metodo balestriniano con una sua proposta autonoma di convivenza tra le parti. L’autore del libro-manifesto ci ha difatti abituato a questo desiderio di «cercare di dare alla scrittura il senso dell’oralità, per avvicinarla al parlato, alla voce del protagonista che narra, evitando ogni intervento diretto dell’autore, ogni imposizione o interferenza ideologica esterna».

IN UN DISFACIMENTO delle categorie, messa in discussione delle subalternità, la memoria culturale dell’intervista ad Alfonso Natella, è esperimento letterario in cui ogni lettore, abbozza tonalità, scompone continuità, interpreta chi siamo stati e chi vogliamo essere. Così mentre il fumo dell’insurrezione accompagna la fine della tentata rivoluzione, nessuna indicazione, nessun programma da seguire, una volta giunti alle ultime pagine di questi dieci capitoli. Ogni lettura del testo, non è copia di un’altra, in un finale che diventa produzione propria del lettore. Ci troviamo soli in quanto lettori, liberi di abbandonarci alle domande sull’oggi, di indovinare il finale. Se dunque «il libro è un effetto (una costruzione) del lettore» desumiamo così una nostra influenza nell’atto di poter immaginare una finestra aperta sulle possibilità del quotidiano. Vogliamo tutto è perciò un «flusso continuo» in cui il nostro ruolo è ancora quello di scegliere cosa farcene oggi di quel finale accennato.

D’altronde Balestrini ci propone una sua pratica sovversiva tramite il suo quotidiano, ciò che aveva a disposizione nelle mani: parole e voce. E allora, se il quotidiano diventa modalità per la messa in discussione del potere, potremmo guardare le nostre mani, schiarire la voce e inclinare la testa come a sentire un rumore sordo. Quella possibilità, nonostante tutto, è quella di fare del nostro meglio.

«Machina» a due anni dalla scomparsa di Balestrini

In occasione del secondo anniversario della sua scomparsa, la rivista online «Machina» pubblica oggi un libro dal titolo «Nanni Balestrini – millepiani», in formato pdf. All’opera, curata da Sergio Bianchi, hanno partecipato quaranta autori con interventi – tra cui quello ospitato in questa pagina – incentrati sulle molteplici espressioni che hanno caratterizzato la lunga attività culturale di Nanni Balestrini iniziata da giovanissimo negli anni Cinquanta e proseguita fino alla sua scomparsa: poesia, narrativa, cinema, televisione, teatro, musica, pittura, scultura, editoria, impegno politico. I testi sono accompagnati da un ricco apparato iconografico comprensivo di immagini fotografiche, opere pittoriche e collage. Per leggere e scaricare gratuitamente il libro: www.machina-deriveapprodi.com sezione «scavi»