Licenziati, riammessi, licenziati e riammessi, stile Fiat. Un tira e molla che dura da 6 anni. Ma i 133 dipendenti romani di Vodafone non se la sentono di festeggiare l’ultimo reintegro. Anzi: erano in piazza venerdì scorso. Il 25 settembre la sezione lavoro della Corte d’Appello di Roma ha respinto ancora il ricorso del colosso delle telecomunicazioni, giudicando «inefficace» la cessione di ramo d’azienda operata nei loro confronti. «Questa volta – spiega Serena Antonelli, Rsu appena riammessa in Vodafone – siamo particolarmente soddisfatti perché il giudizio è definitivo. Rimane solo il ricorso in Cassazione, che conferma 96 sentenze su 100 provenienti dalla sezione lavoro della Corte d’Appello. È quasi un mese che aspettiamo,ma l’azienda non sembra essersi rassegnata a farci lavorare».
Subito dopo la sentenza, Vodafone ha ribadito la bontà dell’accordo con il gruppo Comdata per la cessione di ramo di azienda, «sottoscritto dalle organizzazioni sindacali, dal ministero del Lavoro e dal ministero dello Sviluppo economico, fino a oggi ritenuto valido da 29 giudici in tutta Italia, e si riserva il diritto di valutare future azioni a tutela dell’azienda e della propria immagine».
La vertenza è iniziata nel 2007, con il passaggio di 914 operatori da Vodafone a Comdata Care, azienda creata ad hoc all’interno del gruppo Comdata, che li ha assunti a tempo indeterminato e condizioni identiche a quelle precedenti fino al 2015, con l’appoggio dei sindacati confederali. Ma molti lavoratori in tutta Italia hanno presentato ricorso con vari esiti: la cessione del ramo d’azienda è stata giudicata ammissibile in primo grado a Napoli e Padova e in appello a Milano nel luglio 2013. Giudizio opposto a Roma: dal 2011 a oggi 4 sentenze hanno ordinato il reintegro dei dipendenti: svolgono attività troppo correlate a quelle dell’azienda cedente per essere esternalizzati.
Ma questa è solo la prima parte della storia. «Dopo il pronuciamento della sentenza di reintegro – racconta Rosanna, tornata a lavoro dopo la sentenza di giugno 2012 – in puro ’stile Marchionne’ l’azienda ci ha messi in mobilità. Utilizzando criteri come il numero di figli a carico e l’anzianità di servizio, sono state compilate liste di licenziabili e per far comparire noi ’ribelli’ in pole position ci hanno assegnato 100 punti in più. Anche con questa assurda strategia, non tutti quelli che hanno fatto ricorso apparivano ai primi posti nelle liste di mobilità ma sono stati comunque licenziati. Così siamo arrivati a centinaia di ricorsi in tutta Italia». Prossimo appuntamento in tribunale il 27 novembre a Roma: l’udienza riguarda 82 addetti ai call center reintegrati e poi messi in mobilità dopo la compilazione di queste graduatorie. Dei 133 dipendenti reintegrati dopo il 25 settembre (ma ancora aspettano di tornare a lavoro) molti sono in attesa di mobilità e con gli ammortizzatori sociali in scadenza. Per lo più si tratta di donne che lavorano alle cuffiette da dieci anni, alcune hanno famiglia, altre studiano e lavorano. Dice ancora Rosanna: «Siamo state scelte per essere la voce rassicurante di Vodafone e in quanto operatrici di coscienza possiamo adattarci a qualsiasi attività con una settimana di formazione».
Nonostante la pioggia di ricorsi, Vodafone, che nel comitato scientifico della sua fondazione conta l’ex ministra Paola Severino e ha Luciano Violante come presidente, non ha ricevuto le stesse critiche riservate all’ad Fiat quando l’anno scorso tentò di licenziare i 19 lavoratori iscritti alla Fiom di Pomigliano. Ma le rappresentanti chiariscono: «Vogliamo insistere sul comportamento vessatorio tenuto nei nostri confronti da una multinazionale che si proclama etica, fattura utili da capogiro, stanzia un milione di euro l’anno per fare lo sponsor di Termini ma le prova tutte per non farci lavorare».