Nello scorrere delle acque rosse tra le dune, nel vento che soffia sui papaveri, nel ronzio di una lampada a carburo. Ma soprattutto nelle testimonianze, tra dramma e nostalgia, dei lavoratori. È nelle voci e nei suoni che rivive il tempo delle miniere della regione sarda del Sulcis-Iglesiente. Nelle immagini acustiche evocate da “Il Sottosopra”, il radio-documentario trasmesso da Radio Rai e curato dal collettivo “Tratti Documentari”, che ha vinto la 70.ma edizione del Prix Italia nella categoria “Radio Documentary e Reportage”.

È un riconoscimento di grande prestigio per Gianluca Stazi e Giuseppe Casu, due amanti degli audio-documentari e fieri divulgatori, in una società dominata dai media visivi, della cultura dell’ascolto e delle narrazioni acustiche. “Tutto è nato più o meno nel 2010 – ha raccontato Casu in una puntata speciale di “Tre Soldi”, il format di Radio Rai 3 dedicato ai documentari – quando sono andato alla ricerca dei minatori della Sardegna che non conoscevo perché non ero consapevole della storia mineraria della mia isola. Li ho trovati subito e con loro abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto”. I minatori sono l’anima del racconto, le loro voci le porte che si aprono verso i ricordi di una stagione lavorativa segnata da un forte senso di dignità del lavoro ma anche da sofferenze e sacrifici che nulla valevano contro il forte desiderio di “lasciare qualcosa di buono ai figli”. “
A partire dal 1996, le miniere del Sulcis-Iglesiente hanno iniziato il progressivo percorso verso la chiusura e la dismissione. La crisi dei mercati, il crollo del valore dei metalli e dei minerali come materiale di scambio e i problemi legati agli operai hanno dato il definitivo colpo finale al lavoro minerario nella regione sarda. Molti dei lavoratori hanno perso l’occupazione, altri hanno dovuto reinventarsi. Ma quegli spazi bui e angusti, quei rumori fastidiosi e assordanti di perforatrici, quel senso di comunità e cooperazione che si instaurava sotto terra, sono rimasti nei loro cuori. Ricordi indelebili come il marchio che l’attività mineraria ha posto sul territorio, diventato luogo di pregio artistico: il Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna è stato, infatti, il primo a essere riconosciuto dall’Unesco.
“Il Sottosopra”, trasmesso da Tre Soldi in  cinque puntate a partire dallo scorso 30 aprile, ha avuto il merito  – secondo la giuria del Prix – “di calamitare l’ascoltatore  dalla luce all’oscurità di una miniera e in uno stallo esplosivo. Un’osservazione eloquente – si legge nelle motivazioni dietro la vittoria del premio – persino un microcosmo di un mondo in mutazione, di una bellezza dissotterrata, di un’evocazione e di un passato di cameratismo, che echeggia gli spazi vuoti rimasti tra le montagne”.
Sono passati quasi 60 anni dall’ultima volta che un radio-documentario della Rai ha ricevuto un riconoscimento del genere dal Prix, il concorso internazionale  – dedicato ai migliori programmi in ambito radiofonico, televisivo e digitale – che quest’anno ha festeggiato il 70° anniversario proprio a Capri, dove si era tenuta la prima edizione.  Il palmares del premio annovera nomi come quelli di Ingmar Bergman, Federico Fellini e Samuel Beckett oltre a quello di Sergio Zavoli, autore per la Rai del radiodocumentario “Clausura”, l’ultimo vincitore nell’apposita categoria prima appunto de “Il Sottosopra”. Era il 1958 e, secondo lo studioso della radio, Gianni Isola, si era in pieno “neorealismo radiofonico”. “La radio – si legge nel suo volume “Cari amici vicini e lontani. Storia dell’ascolto radiofonico nel primo decennio repubblicano (Firenze, La Nuova Italia, 1995) –  affermava la sua presenza rinnovata nell’ambito della società e del mondo dell’informazione. […] Era la risposta, professionalmente di alto livello, ma politicamente di segno moderato, all’impegno sociale del cinema in cui il neorealismo […] aveva accompagnato il rilancio dell’industria cinematografica”. Zavoli affrontava, nella sua inchiesta acustica, il controverso tema della clausura, fonte di polemiche in quegli anni, in particolare per le condizioni di indigenza in cui vivevano le monache. “Clausura” è una delle punte di diamante di una stagione di radiodocumentari in cui l’Italia e la Rai hanno primeggiato prima che il genere, travolto dalla radiofonia di flusso, sparisse quasi completamente dai palinsesti e dalle menti di numerosi produttori e editori. Se si escludono “Tre Soldi” di Radio 3 e alcune produzioni di Radio 24 e Radio Popolare, si scopre che oggi nell’etere italiano i documentari sono rarissimi.

Eppure, con l’esplosione del podcasting – la tecnologia che permette di scaricare e archiviare in un lettore Mp3 trasmissioni radio selezionate su Internet – il formato sta tornando a conquistare gli ascoltatori. E lo fa adattandosi ai tempi, sbarcando sugli smartphone e nelle cuffiette portatili. Negli Stati Uniti – dove gli introiti sono passati dai 169 milioni di dollari del 2016 fino ai 314 di quest’anno – si registra un vero e proprio boom di show pensati e prodotti per l’ascolto asincrono, svincolato da dirette e palinsesti, e on-demand. Ovvero quando vuoi, dove vuoi. Un’esperienza di successo, in termini qualitativi e di riscontro del pubblico, è quella di “Serial”, nato nel 2014 e giunto quest’anno alla terza stagione. Nella prima, si ascolta un’inchiesta sull’omicidio di Hae Min Lee, studentessa delle scuole superiori che, nel 1999, viene trovata morta, strangolata, in un parco di Baltimore. La conduttrice del podcast, Sarah Koenig, conduce un documentario-inchiesta che propone le fasi del processo, riportate nei minimi dettagli, le interviste telefoniche e sul campo ai diretti protagonisti, tra cui lo stesso imputato, Adnan Syed, oltre a considerazioni personali basate su fonti accurate. Un podcast true-crime che propone elementi sia della serialità televisiva che del vecchio e, forse rinato, radio-documentario.