Deficit vicinissimo allo zero e un saldo positivo per il 2020 questi, tra gli altri, gli obiettivi presentati pochi giorni fa da Mario Centeno, ministro delle finanze portoghese, nel Programa de Estabilidade (Pe). Sì perché il Portogallo di questi ultimi anni è un paese che è cresciuto molto, molto più velocemente di altri paesi continentali. Solo nel 2017 il Pil ha registrato un andamento positivo del 2,7%, e fino al 2022, la crescita stimata ogni anno supera il 2%.

L’occupazione è salita del 3,2% generando entrate fiscali di 450 milioni di euro e contributi sociali di 430 milioni. Non solo, perché a concorrere al miglioramento dei conti pubblici c’è anche una riduzione della spesa sui tassi di interesse del debito pubblico di circa 400 milioni di euro.

Eppure, quella che per molti in Europa è una buona notizia, in realtà si sta rivelando essere una fonte di tensioni molto pericolosa all’interno della maggioranza parlamentare che sostiene l’esecutivo guidato da António Costa. Deficit basso vuol dire poca spesa e l’ala sinistra dell’alleanza, Bloco de Esquerda (Be) e Partido Comunnista Português (Pcp), è sul piede di guerra.

Alla base del contendere il divario tra quanto pattuito con i socialisti in precedenza, 1,1% del deficit, e la nuova meta varata in consiglio dei ministri, 0,7%. Non è la prima volta, era già successo lo scorso anno, ma poi Be e Pcp avevano comunque pragmaticamente votato la fiducia alla legge sul bilancio.

Bisogna dire che molto è stato fatto per ricomporre le fratture aperte durante gli anni della troika, tuttavia non basta, lo stato sociale avrebbe effettivamente bisogno di ingenti finanziamenti.

Dopo un taglio di quasi il 10% nel periodo 2010-2014 la spesa per il Serviço Nacional de Saúde (Sns) tra il 2015 e il 2017 è cresciuta del 13%. I tassi di povertà continuano a essere molto elevati, secondo dati dell’Instituto Nacional de Estatistica (Ine) il 18,3% della popolazione è a rischio (nel 2015 era il 19%).

Così l’ossessione per il deficit rischia di minare almeno una parte del lavoro fatto e di portare a divergenze insanabili. Catarina Martins, portavoce del Be, ammonisce Centeno affinché eviti di assumere una linea di politica economica simile a quella adottata in precedenza da Vitor Gaspar e Maria Luis Albuquerque, i due ministri delle finanze del governo di centro-destra targato Coelho, e propone un progetto per un rilancio più consistente degli investimenti dell’Sns. Be e Pcp chiedono inoltre l’adeguamento al costo della vita degli stipendi degli impiegati della pubblica amministrazione e delle pensioni.

 

 

Un altro fronte molto caldo è quello legato all’abitazione, in modo particolare a Lisbona, dove negli ultimi anni il mercato immobiliare è impazzito. Leilani Farha, un housing rapporteur, aveva già allertato nel 2016 che la situazione stava assumendo forme preoccupanti. Lo sconvolgimento dei prezzi si ripercuote in modo particolarmente drammatico sugli strati più vulnerabili della società. Molte le ragioni alla base di un fenomeno complesso e di difficile soluzione. Da una parte, come avviene in altre città, la crescita del turismo e l’occupazione massiccia di Airbnb nei bairros históricos. Ma non solo, perché la defiscalizzazione offerta a chi trasferisce la propria residenza in Portogallo sta trasformando la capitale in una specie di principato di Monaco. Infine la legislazione sui contratti d’affitto approvata dal centro destra nella scorsa legislatura cucita intorno alle esigenze dei proprietari. Ora, per sfrattare, basta presentare un progetto di ristrutturazione al comune. Spesso sono gli abitanti di interi palazzi a essere frettolosamente cacciati. Comprare casa, se non in zone periferiche, anch’esse vittime di una pressione al rialzo, è diventato impossibile. In molti quartieri il prezzo al metro quadro è salito da 1000 a 5 mila euro, a volte anche 10 o 12 mila euro. Si parla di riforme, si formano gruppi di studio, ma, poi nei fatti, tutto resta uguale.

Pur continuando a percorrere la strada di una sorta di austerità redistributiva, mese dopo mese l’esecutivo radicalizza sempre più una linea economica mainstream. Centeno si giustifica ribadendo la necessità di creare margini di manovra nel caso ci fossero scostamenti e le previsioni si rivelassero essere al di sotto delle aspettative. Questo anche perché non è passato troppo tempo da quando la Commissione europea ha chiuso la procedura di infrazione per deficit eccessivo.

La posizione dell’ala più a sinistra dell’alleanza parlamentare si fa ogni mese più delicata. Difficile uscire dall’impasse, l’alternativa sarebbe quella di votare contro, ma aprire una crisi avrebbe effetti dirompenti in termini di consenso. Su alcuni punti potrebbero esserci delle aperture e il processo di negoziazione per la prossima legge di bilancio è ancora lungo, vedremo.
Più agevole la posizione dei socialisti ai quali, a ben guardare, non conviene neanche troppo essere generosi soprattutto perché, almeno in parte, l’elettorato è condiviso e nel 2019 si torna alle urne.

Sondaggi recenti (Eurosondagem, realizzato lo scorso marzo) ci dicono che se si svolgessero oggi le elezioni politiche i socialisti potrebbero ottenere una maggioranza assoluta dei seggi, passando dal 32% dei voti raccolti nel 2015 al 41%. Un salto in avanti impressionante. Intanto perché la socialdemocrazia è data per spacciata un po’ in tutta Europa, con la significativa eccezione del Partito laburista e poi perché rari sono i casi in cui non si verifichi un effetto sanzione per le formazioni reduci da una esperienza di governo. Meno roseo è il quadro per il Bloco e i comunisti. Il Be scende dal 10% ottenuto nel 2015 al 7% e il Pcp dall’8% al 7%.

Insomma i limiti sono stati molti, in sostanza è mancato il coraggio per spingersi oltre una linea di riforme più coraggiose, ma basta tutto questo per dare una valutazione negativa dell’operato di Costa? No, assolutamente no. Il fatto che Be, Ps e Pcp siano riusciti a formare una maggioranza, a mettersi intorno a un tavolo e a trattare è stato estremamente positivo e questo sotto molteplici aspetti. Intanto perché si è dimostrato come anche la cosiddetta sinistra radicale, laddove esiste ed è forte, può assumere un ruolo attivo nel determinare, almeno in parte, l’indirizzo delle politiche di governo. Poi perché, se pur in modo ancora troppo timido, e caso pressoché unico, occuparsi del benessere dei ceti più deboli non è solo un motto elettorale, ma si traduce in politiche effettive e concrete che contribuiscono a migliorare i livelli di vita delle persone.