L’autostrada del sole, la diga del Vajont, perfino le passerelle in legno che permisero a Moser di proiettarsi tra i ponti di Venezia. E ovviamente tempo da lupi su in montagna. Ne ha visti di paesaggi, il gruppo, in cento e più giri d’Italia.

Il deserto però non si era attraversato mai. Si rimedia oggi, partendo da Beer Sheva e raggiungendo a Eilat la propaggine estrema del golfo di Aqaba. A Sde Boker si passa ad omaggiare Ben Gurion, padre della patria, che in questo kibbutz si ritirò a «missione compiuta».

A fare da contorno, il Negev, dove la parte del lupo la fa lo sciacallo, e ai bordi della strada biascica indolente il dromedario. Una prigione senza confini, così immaginava il deserto Fabrizio De André. I cui «inutili frammenti», i beduini, sono in subbuglio, per una legge che li vorrebbe espulsi dalle terre loro, confinati in villaggi che ricalcano il modello di tante brutte periferie nostre. Da secoli coltivatori del mawat, la terra comunitaria, la situazione dei beduini cambiò con la caduta del Sultano e il mandato fiduciario britannico sulla Palestina.

Azzeccagarbugli imperiali dichiararono il mawat occupato illegalmente, i coltivatori obbligati in quattro e quattr’otto a registrare la proprietà. Chi non lo fece si ritrovò senza la terra. Alienata allo Stato, cioè in balia della potenza mandataria. Uno schema ricorrente nella spartizione dell’impero Ottomano da parte di tutte le potenze civilizzatrici. Ne svelò il funzionamento Rosa Luxembourg.

Terminato il mandato britannico si andò di male in peggio. Con lo scoppio della Guerra Arabo-Israeliana, la popolazione beduina del Negev lasciò il paese o venne espulsa. In 65.000 presero la via dell’Egitto, della Giordania e di Gaza. Chi rimase, circa 11.000 persone, venne concentrato nel Siyag. Per capirsi, una riserva indiana.

Dagli anni Sessanta in poi, l’ossessione per la sicurezza degli eredi di Ben Gurion ha portato a vari tentativi, tutt’ora in corso, di trasferire i beduini in cittadine dove scarseggiano i servizi, assieme alle opportunità di mantenere il controllo sulla terra.

La carovana dei ciclisti viene sputata fuori dal Gran Canyon sospinta dal vento del deserto, per entrare a gran velocità nel circuito cittadino sulle rive del Mar Rosso. Qui Viviani ha tempo di rallentare una prima volta, esposto come si trova troppo presto all’aria, e una seconda, quando Bennet lo accantona verso le transenne. Ma ha la forza di rilanciare sempre, e ad imbarcarsi per l’Italia dopo avere offerto il bis.