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Vivian Maier finalmente sbarca a Roma, dopo aver girato il mondo. E lo fa al museo di Roma in Trastevere, con centoventi fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni ’50 e ’60, insieme a una selezione a colori scattate nel decennio successivo, oltre a filmati in super8 (la mostra è a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, visitabile fino al 18 giugno).

La sua storia è nota, ormai è leggenda: tata con il vezzo delle manie, fotografa per passione, scattava compulsivamente con la sua Rolleiflex e riponeva tutte le immagini che catturava di New York e Chicago in grandi scatoloni. Molti rullini, anzi, non furono mai sviluppati nell’arco della sua vita. Ci pensò nel 2007 John Maloof, agente immobiliare, che acquistò in un’asta parte dell’archivio di Maier confiscato per un mancato pagamento e subito dopo cominciò a setacciare vari luoghi alla ricerca di altre foto, arrivando ad archiviare oltre 150mila negativi e tremila stampe.

Numerosi gli autoritratti nel corpus della sua opera, moltissime le scene quotidiane, che propongono dettagli in apparenza insignificanti in inquadrature sorprendenti, riflessi, pozzanghere, ombre: quella di Vivian Maier è una città osservata e meticolosamente catalogata nei suoi lati meno luccicanti, coltivata nelle sue «ombre».

Come reporter, non confidò a nessuno la sua attività (che perseguiva con grande disciplina), ma conservò gran parte delle immagini che realizzava. Vivian Maier. Fotografa è il libro edito da Contrasto che accompagna la mostra. Per i lettori in erba, va ricordato invece il bell’albo pubblicato da Orecchio Acerbo, Lei. Vivian Maier, scritto da Cinzia Ghigliano.