Nelle storie tradizionali, che affollano la morfologia del romanzo classico, il matrimonio conclude la vita letteraria dei personaggi. Diventa il sigillo che ferma le loro vicende e le fissa in un tempo senza evoluzioni future. Franco Moretti scriveva, anni fa, che «il matrimonio è la metafora di un patto sociale». Dal punto di vista simbolico lega soggetto e società in una stessa relazione. Individuo e mondo si ritrovano composti della stessa materia. Condividono ideali, speranze, illusioni, sogni. Appartengono a una sola comunità, che li ingloba in un destino condiviso.

Nuove rivendicazioni
Questa affinità, psicologica e culturale, entra in crisi alla metà del XIX secolo. A partire da una frattura, che ha radici ideologiche e politiche, le eroine dei romanzi scelgono una strada diversa. Spezzano il vincolo che le congiunge alla famiglia e rivendicano la libertà d’inseguire fantasmi intravisti dentro altri universi. La vera esistenza sembra trovarsi in un altrove posto al di là della ingrigita vita quotidiana. Nasce una stagione di insofferenze e di ribellioni, che spalancano scenari sconosciuti. Le creature paradigmatiche diventano Emma Bovary o Anna Karenina o la Nora di Casa di bambole. Una trasformazione epocale cambia lo statuto dei personaggi e ne fa creature inquiete e addolorate.

Il saggio di Vivian Gornick, La fine del romanzo d’amore (traduzione di Gabriella Tonoli, Bompiani, pp. 176, € 17,00) parte da questo tema e ne descrive il processo. L’armonia delle relazioni è la premessa del mondo di ieri. La questione essenziale per la fine del secolo è l’incrinatura che si produce nei comportamenti e nelle scelte. All’inizio c’è «una manciata di romanzi notevoli scritti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – tra cui Daniel Deronda, La casa della gioia, Diana di Crossways, Mrs Dalloway – nei quali, nel momento preciso in cui la donna dovrebbe sciogliersi, all’improvviso le si indurisce il cuore». La «prospettiva dell’amore matrimoniale risulta intollerabile» e un’altra storia comincia. Non più o non solo di alcune protagoniste speciali ma del soggetto moderno. Questi autori di un’epoca cambiata raccontano gli stati d’animo di donne «con l’amaro in bocca», indocili al profilo sociale assegnato e protese alla ricerca di una identità differente.

Con lo spirito di una cronista coinvolta, che racconta le trame dei libri o recupera frammenti privati, Gornick descrive questo processo di crisi, allestendo una galleria di autori e di personaggi esemplari. Romanzi e biografie si mescolano tra loro e raccontano una immersione comune nel tossico delle relazioni matrimoniali o nel malcontento di desideri frustrati. La Diana di Crossways di George Meredith o Clover Adams combattono un’uguale battaglia contro il ghiaccio che stringe il cuore e paralizza il flusso delle passioni. Kate Chopin con Il risveglio determina uno shock e uno scandalo, mostrando la rinascita dell’eros, l’insofferenza alle ripetizioni del quotidiano e l’epilogo che arresta i tentativi di rinnovamento. Come la Lily Bart di Edith Wharton e la Isabel Archer di Henry James, questi «sono personaggi fortemente americani: creature moderne, in conflitto con se stesse. Dicono di volere una vita vera, ma non intendono quello che dicono».

Il libro è la testimonianza di una serie continua di aspirazioni e di fallimenti. Le lettere di Jean Rhys sono un monologo ininterrotto sul disagio di un’esistenza scolorita, accesa solo dai lampi della scrittura. Lawrence di Figli e amanti e la Hall della Lampada spenta descrivono l’affetto micidiale, che unisce morbosamente genitori e figli e che ostacola l’autonomia di una vita risolta. May Sinclair, Edna O’Brien, Willa Cather, Christina Stead o Grace Paley si muovono sulla medesima via: tra i desideri repressi e la parola che prova a dirli.

Storie senza soluzione
Il «legame emotivo», analogo a quel sentimento che lega Heidegger a Hannah Arendt, sostituisce gli equilibri istituzionali. Non c’è una soluzione per le storie complicate di questi scenari. Nella letteratura ci sono «personaggi femminili che non agiscono, ma rivelano una forte consapevolezza della fatica di andarsene da casa». Ragionano su come e dove sia fuggita l’esistenza e in che modo il mestiere di vivere trovi legittimità e valore.

In questo senso, il romanzo d’amore non ha più corso legale nello sviluppo delle situazioni letterarie. «L’amore come metafora è un atto di nostalgia, non di scoperta». Tuttavia, l’amore, come si sa, allude sempre a qualcosa d’altro. Richiama nelle sue avventure l’intero universo di cui è segno. Resta da aggiungere allora che sui destini irrisolti di queste eroine senza casa aleggiano ancora le vite inconcluse, ingoiate dal tempo e dalla morte, delle invenzioni di Henry James e di Virginia Woolf.