La regista francese Judith Abitbol, nata a Casablanca nel 1958, preferisce l’appellattivo di “filmeuse” declinato al femminile a quello di “cinéaste” o di “réalisateur”. Spiega infatti che nel verbo “filmer” sta la radice del suo fare: avere tra le mani una cinepresa, dall’età di undici anni.

Vivere (2016/ 109 minuti) é il suo ultimo film-documentario che, in presenza della regista, è stato proiettato al Museo del cinema di Torino il 29 giugno in anteprima per il festival Spaesamenti http://www.spaesamenti.eu/index.php/fr/festival.

La storia è quella della vita di Ede Bartolazzi, madre di Paola, durante gli otto anni della sua convivenza con il morbo di Alzheimer restituito nello scorrere intimo delle esistenze, nel susseguirsi di “vies minuscules” come nella definizione dello scrittore Pierre Michon.

Nel 2001 Judith decide di accompagnare la sua compagna Paola nel viaggio di ritorno in auto da Parigi a Modigliana, piccolo paese dell’appennino tosco-emiliano dove vive Ede. L’incontro di madre e figlia, filmate per la prima volta in occasione del loro ritrovarsi, costituisce la scena d’apertura del documentario concentrato sul tempo e la memoria che servono ai ricordi della giovinezza, mescolando l’esperienza della maternità all’infanzia della figlia, ma anche a quelli di contadina. Costanti sono infatti i richiami alla fatica dell’orto, alle violette del piccolo prato di casa, alla raccolta dei funghi e allo stravolgimento climatico della regione causato dalla recente coltura intensiva di kiwi nella valle del Tramazzo.

«Il documentario è stato uno sforzo di comprensione antropologica – dice Judith Abitbol raggiunta per qualche domanda -, mi sono confrontata con la storia di un intero paese. Con l’acuirsi della malattia, Ede canticchia il ritornello popolare “Son stata contadina”, lei che è stata materassaia, sarta e che ha lavorato in fabbrica; é la terra ad avere nutrito Ede e la sua famiglia, anche se non ne avevano che un misero pezzettino»

Perché proprio Ede? Si può parlare di “ragioni” di una scelta al di là di quelle dell’affetto?

Certamente le ragioni affettive sono le più evidenti. Paola mi parlava di sua madre con un tale amore, rispetto e ammirazione che il mio desiderio di conoscerla era grande. Il mio desiderio di conoscerla si é trasformato nel desiderio di filmarla: le due cose sono coincise e dal 2001 ho cominciato a costruire un legame affettivo con Ede. Più mi avvicinavo a lei più la sua “vita minuscola” mi sembrava immensa. La sua semplicità e il suo passato da lavoratrice mi sembravano esemplari.

Il tema dei ritorni e delle partenze si alterna allo scorrere delle vicende: esso sembra intervallare le macrosequenze narrative, sembra costituire una specie di dispositivo di narrazione. In che modo questo tema si articola con quello dell’esacerbarsi della malattia?

Vivere” fa parte di una serie di film intitolata “Certains fruits de l’asile”(Certi frutti dell’asilo). L’asilo é un luogo di rifiugio, di protezione e di conforto. I ritorni e le partenze da questo luogo hanno costituito la trama narrativa del film: si é trattato di un lavoro di montaggio che é partito dai miei rushes, girati nel corso degli anni e delle visite di me e Paola a Ede. A posteriori posso dire che con il materiale ripreso avrei potuto costruire un film più “aperto”, sul paese di Modigliana per esempio. Tuttavia ho scelto di “chiudere” sulla relazione madre-figlia, che mi é sembrata qualcosa di straordinario, e sulla figura di questa donna. Ho cercato di farlo tramite un sistema di ellissi, una struttura di piani di passaggio temporale nell’arco degli otto anni.

Le lingue del film sono sopratutto l’italiano e il dialetto romagnolo. Il francese invece rappresenta “la lingua di raccordo”, quella con cui la figlia Paola spiega, a lei che filma e allo spettatore, la trasformazione di Modigliana e la specificità della malattia. Quanto ha contato la conservazione delle due lingue madri?

Venendo in Italia mi sono resa conto di quanto i dialetti restino nel vostro paese un patrimonio conservato. A Modigliana e nella valle del Tramazzo il dialetto romagnolo é parlato da tutti, o almeno capito da tutti, senza grandi distinzioni fra le generazioni. Ho pensato che anche nel mio film questo dialetto dovesse rimanere e in effetti esso occupa un ruolo principale, insieme all’italiano. Paola si rivolge a me in francese, perché essa costituisce la nostra lingua di comunicazione; quando fa riferimento ai dettagli della malattia di Ede credo che abbia preferito il francese anche perché questa “lingua di raccordo” proteggeva la madre dal capire che si stava parlando del decorso della malattia.

Le canzoni e i balli popolari sembrano occupare un ruolo centrale. Può provare a spiegarci in che senso?

Le canzoni e i balli fanno parte della seconda parte del mio film, quando si assiste al peggioramento della malattia. Essi rappresentano le due principali “modalità di contatto” nel momento in cui la malattia si aggrava. Quando abbiamo ritrovato un vecchio registratore per musicassette é stata una vera rivelazione: Ede ormai non ricordava quasi più nulla, faticava ad associare il proprio nome alla sua persona, eppure quelle canzoni se le ricordava! La prima volta che le abbiamo fatto ascoltare “Romagna mia” io ho filmato la reazione di Ede, e la sua risposta é stata di cantare, di pronunciare parole dimenticate. I medici ci hanno spiegato che le parole delle canzoni e la musica sono le ultime cose che i malati d’Alzheimer dimenticano. Mentre cantava, Ede spesso ballava: adorava ballare e io credo che il ballo così come il suo desiderio di toccare l’altro rappresentassero una forma di contatto oltre la parola, un mezzo sensitivo in sostituzione a quello cognitivo.

Il rapporto tra Ede e Paola si sviluppa nelle forme di un rapporto “di cura”. Cosa ha rappresentato per lei filmare quotidianamente la corporeità della malattia?

Con “Vivere” ho cercato di raccontare in cosa consista essere “con” la malattia. Personalmente ho una certa abitudine alla malattia, nel senso che piuttosto precocemente sono entrata in relazione alla malattia psichica e a quella fisica. Per quanto riguarda Ede io e Paola non ci siamo mai dette che la stavamo accompagando verso al morte, per noi é stato piuttosto un “accompagnare la vita”, il suo scorrere. Certamente assisterla quotidianamente ha rappresentato uno sforzo senza pari. Per un periodo Ede é stata assistita dai fratelli di Paola, poi é stata trasferita in una casa di riposo; a un certo momento però io e Paola abbiamo deciso di occuparci a tempo pieno di lei: abbiamo lasciato Parigi e ci siamo concesse il lusso di accompagnare la vita di Ede durante la sua malattia. Sono felice a di ricordarla mentre ci dice: “Come sto bene qui con le mie donne!”.

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scheda servizi Alzheimer

Di fronte al crescente numero di persone affette dal morbo di Alzheimer, in Francia e nel mondo, dal 2001 il governo francese ha lanciato dei “plans nationaux” per la salute pubblica con la finalità di lottare contra la malattia su diversi fronti. I primi due piani (2001-2005 e 2004-2007) erano destinati a facilitare la diagnosi, la cura e migliorare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie; solo con il piano presidenziale 2008-2012 é stata prevista anche una dimensione di ricerca. Nel novembre 2014, il governo, nella persona di Marisol Touraine, Ministre des Affaires sociales, de la Santé et des Droits des femmes, di Geneviève Fioraso, ex-Secrétaire d’Etat (Enseignement supérieur et de la Recherche) e di Laurence Rossignol, ex-Secrétaire d’Etat (Famille Personnes âgées et Autonomie) e attuale Ministre des Familles, de l’Enfance et des Droits des femmes, ha lanciato il “Plan Maladies Neuro-Dégénératives 2014-2019” ; questo nuovo piano nazionale é dedicato alle malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla. A sostegno delle famiglie nel 1985 é nata France Alzheimer, un’associazione che si basa su una rete di 92 associazioni dipartimentali presenti in Francia metropolitana, nei dipartimenti e nelle regioni d’oltremare. Queste associazioni dipartimentali e autonome forniscono sul piano locale assistenza quotidiana domiciliare; esse assicurano assistenza anche negli ospedali e nelle case di cura tramite tecniche di riabilitazione cognitiva, assistenza per gli operatori sanitari e supporto alle famiglie. Per informazioni a riguardo consultare il sito web: http://www.francealzheimer.org/