Qui al cohousing, nella pandemia, ci ha aiutato un patto di solidarietà. Ora cerchiamo spazi e tempi come prima, ma c’è incertezza e posizioni diverse. Aurora, operosa, si apre al nuovo e organizza cinema on line. Olga, maestra, cresciuta all’insegnamento relazionale di G. Bateson, patisce a insegnare via Web. Ernesto, forte del patto con la terra, si affida al destino, infastidito dalle paure circolanti: «scopriamo ora la possibilità di morire? Ogni giorno è un rischio». Lola non sforna più dolci: è stanca, incapsulata nel lavoro coi migranti, diventati anche possibile fonte di contagio. Anna e Carlo hanno sotterrato la crisi di coppia per proteggere la loro bimba, e hanno affittato un camper per vacanze più sicure. Lino ha chiuso la sua attività di ristorazione e cerca un lavoro qualsiasi per garantire il quotidiano ai figli. Invia agli amici riflessioni sul diritto alla vita, che non va affidata tutta alla scienza, perché non siamo solo potenziali organismi infetti, ma anche storie di libertà e dignità.

La mamma di Pier si è aggravata, ma Pier non la vuole portare in struttura: non si perdonerebbe un eventuale contagio. Smirna invita a guardare le questioni personali e quotidiane con orizzonti più ampi, perché equilibri che sembravano transitori della pandemia, ora stanno cambiando lavoro, socialità e cultura. Fragilità e vulnerabilità si palesano condizioni strutturali del vivere. Nel libro di Luigi Alici, professore di Filosofia morale all’Università di Macerata «Il fragile e il prezioso. Bioetica in punta di piedi» (BR.2016), l’idea è che esperienze limite della malattia, del dolore e della morte ci permettono di ripensare ad alcuni concetti in una etica della cura. Pensare al fragile non come limite da eliminare a tutti i costi, ma come ricerca del suo superamento, prendendosene cura con competenza e compassione, con responsabilità e reciprocità, non per l’autosufficienza, ma per un bene comune dove si è aiutati e si aiuta.

Alici ricorda come ogni epoca trova identità nel modo di interpretare il rapporto tra natura e cultura fra i suoi possibili estremi: della natura concepita come valore assoluto in sé, senza tener conto delle tragiche lotte per la sopravvivenza, e della cultura dove la realtà diventa racconto storico-culturale dell’uomo. Smirna riflette quanto la pandemia ci sfidi alla ricerca di conciliazione tra natura e cultura, di connessione armonica tra carattere privato delle questioni e modalità collettiva della loro soluzione, nella condivisione di pensieri e idee per, come scrive Alici citando Aristotele, «vivere insieme, e non «pascolare’insieme».