Il libro Oltre l’infinito, storia della potenza dal sacro alla tecnica (Feltrinelli, pp. 285, euro 22) conclude idealmente la trilogia dedicata da Mauro Magatti al potere e alla potenza.
Nel 2009 l’autore si era chiesto in Libertà immaginaria. Il capitalismo tecno-nichilista, quali forme il potere avesse assunto nell’ultimo quarto di secolo, quello che ha portato all’esplosione della bolla finanziaria del 2008: l’assunzione di decisioni unilaterali da parte della Federal Reserve negli anni 70, la liquefazione e l’istantaneizzazione dei flussi finanziari, con la conseguenza di spostare denaro, immettere titoli tossici, rendere confusi o meglio impenetrabili gli armeggi di chi gestisce denaro che sarebbe pubblico e invece diventa una sorta di gioco del Monopoli nelle mani di azionisti cinici e distruttivi.
Nel 2012 aveva ritenuto di cogliere, nell’esplosione non solo di risorse delle persone ma anche nel profondo malcontento che aveva cominciato a serpeggiare, la possibilità di un’eventualità positiva della crisi in atto e aveva pubblicato La grande contrazione. I fallimenti della libertà e le vie del suo riscatto.

CON QUESTO NUOVO SAGGIO, Magatti spiega che la potenza e il potere sono due concetti distinti: la prima deve «sbocciare» nell’azione, di cui è il motore, per manifestarsi, segnando uno scarto rispetto a quanto esisteva prima, attraverso «un inizio, una discontinuità». Il potere, invece, nelle parole di Simmel, è la «forma» sociale della potenza: la comprime, la configura, la delinea e la contorna permettendole di esistere. Al tempo stesso, non la contiene poiché la potenza si sottrae a qualunque limite, è centrifuga e incoercibile.
Nella storia del mondo, la potenza nasce e si manifesta nel sacro. Di fronte a una potenza sovrastante che lo assediava, l’uomo non ha potuto che attribuirla a qualcosa di «numinoso» situato al di fuori e al di sopra di sé, e Habermas ha definito il rito, quell’insieme di atti che permettono di stabilire un contatto con il divino. La ripetizione delle parole e dei gesti cerimoniali ha conferito sicurezza alle vite umane, smarrite di fronte al mistero e alla maestà spesso minacciosa del cosmo.

Il cristianesimo degli esordi ha avuto il merito, secondo Girard, di invertire la «logica sacrificale» del capro espiatorio perché Dio si fa uomo, piccolo e impotente al punto di farsi crocifiggere. È proprio l’incarnazione, che coniuga trascendenza e immanenza, ad aver reso questa religione così popolare e duratura. Poi, però, il cristianesimo evangelico si trasforma: la Chiesa diventa un’istituzione che esercita il monopolio del potere, usando il nome di Dio per combattere guerre, torturare innocenti, compiere ogni forma di nefandezze.
La Riforma luterana sopraggiunge per contrastare uno strapotere divenuto cinico, ipocrita e borioso. La salvezza va ricercata su questa Terra con atti concreti, una virtù tangibile. Non è più uno sguardo rivolto alla propria interiorità ma un’aspirazione all’accumulo di ricchezze per alimentare il benessere personale e collettivo ciò che può rendere gloria a Dio.

DOPO AVER ABITATO la religione e la politica, la potenza e il potere si sono installati nella nuova religione, la tecnica, coadiuvata dalla scienza e dalla finanza nel quadro della globalizzazione. Non si fantastica più su quel che ci apparirà quando saremo approdati in cima alla montagna, ma si resta concentrati sui chiodi che piantiamo sulla parete di roccia, l’uno dopo l’altro. La «crescita», il mantra dell’era tecnica in cui siamo entrati, riguarda innanzitutto la grandezza. Tutto ciò che ha dimensioni piccole o medie viene risucchiato da qualcosa di più grande, tra fusioni e acquisizioni che danno vita a un paesaggio di soli grattacieli. Riguarda però anche la frammentazione poiché «tutto è destinato a slegarsi, a essere ridotto in pezzi, in componenti: relazioni, significati, istituzioni».

RIGUARDA infine l’accelerazione, come quando si pattina sul ghiaccio (immagine di Bauman) e se non si vuole cadere bisogna procedere spediti. Il problema insormontabile è che manca un qualunque senso, e la perfezione che si esige sempre più implacabilmente da se stessi, attraverso una ferrea autodisciplina per essere all’altezza degli standard che ci consente di «essere della partita» è comunque destinata a deteriorarsi. a causa della nostra umanità imperfetta, cagionevole e mortale.