Nella sua omelia domenicale su la Repubblica Scalfari ha offerto a Renzi un assist su due temi emblematici: i referendum e l’uomo solo al comando. Un cambio di rotta che nella più recente stagione di Repubblica non sorprende, anche se non era necessariamente atteso.

Sul voto del 17 aprile Scalfari si iscrive al club degli amanti del mare. Meglio un fallimento per mancanza del quorum, perché il referendum è strumento inadatto ad affrontare problemi complessi.

Mentre dalla sconfitta degli abrogazionisti può partire la ricerca di un compromesso ragionevole.

Forse, meriterebbe qualche maggiore attenzione la pochezza, quando non la mendacità, delle motivazioni antireferendarie. Il referendum non punta a scacciare ad horas trivellatori di ogni peso e caratura, ma solo a ribadire quello che le regole inizialmente stabilite e accettate dagli stessi trivellatori disponevano. In una parola, a impedire che lo sfruttamento – con il relativo profitto in origine valutato sulla durata della concessione – continui invece a tempo indeterminato. Per quel che possiamo dire, poi, una concessione può sempre essere rinnovata o rinegoziata.

Quel che non si accetta, e che appare come un regalo ai petrolieri, è la proroga automatica sine die per legge.Inoltre, non sfugge certo a Scalfari che gli argomenti da lui addotti sono trasponibili sugli altri referendum che si affacciano all’orizzonte per il 2017 – nel caso la raccolta di firme che ora si avvia abbia successo – sulla scuola, il lavoro, l’ambiente, l’Italicum. E che quindi la sua tesi ha una portata che va ben oltre il 17 aprile.

Eravamo per la verità abituati ad argomenti di ben altro spessore.

È vero che il referendum abrogativo, con la sua logica ridotta al sì e al no, è poco adatto a mediazioni sofisticate.

È anche vero che i costituenti vollero ad esso attribuire un ruolo limitato con la sola abrogazione, totale o parziale, di leggi o atti aventi forza di legge.

Ed è infine vero che la Corte costituzionale lo ha nel tempo ulteriormente circondato di argini e paletti, riducendone ancora il ruolo nel sistema. Ma tutto questo accadeva in un mondo diverso da quello di oggi.

E poi un argomento decisivamente smentisce la tesi di Scalfari che il referendum debba opportunamente fallire perché si possa andare a un compromesso.

È che al referendum del 17 aprile si arriva perché il compromesso è stato rifiutato. Un referendum chiesto da così tante Regioni indica un paese spaccato, e il Governo della Repubblica una simile spaccatura dovrebbe prevenirla o comunque evitarla con le scelte politiche opportune, non generarla per poi vincere nella conta dei voti.

La spaccatura rimane, e tutti pagano un prezzo. Ma nella politica di oggi la incapacità di cercare mediazioni e sintesi viene inevitabilmente dalla caduta di rappresentatività delle istituzioni e dall’azzeramento dei corpi intermedi che ne costituivano i sensori.

Oggi, a Palazzo Chigi arrivano le domande delle lobby piuttosto che quelle del paese, come anche le ultime vicende agli onori della cronaca dimostrano. Se le porte del palazzo sono sbarrate, e le assemblee elettive addomesticate e sorde, quale strumento rimane per contrastare e correggere una politica di governo che non si ritiene accettabile?

Ecco il perché di una stagione referendaria che oggi si avvia.

Di certo, se i costituenti avessero conosciuto una politica senza partiti organizzati e un parlamento emarginato e ossequiente verso l’esecutivo, avrebbero dato ben altra attenzione agli strumenti di democrazia diretta. E non è certo un caso che nella grande riforma costituzionale renziana di tale maggiore attenzione non vi sia nemmeno il sospetto.

Veniamo ora all’uomo solo al comando. Scalfari dà atto di una conversione a partire dall’iniziale contrarietà. Gli argomenti non sono originali: complessità dei problemi, rapidità delle decisioni. Non manca il riferimento comparativo ad altri leaders, come la Merkel, Cameron, Obama. Ma troviamo una frase chiave: in queste altre esperienze la leadership è bilanciata da contropoteri. Indubbiamente, se l’uomo al comando deve fare i conti ogni giorno con soggetti organizzati forti, istituzioni territoriali solide, assemblee rappresentative non asservite e rese obbedienti da artifici elettorali o di altra natura, non c’è problema.

Ma qui è il punto. L’esperienza italiana volge in direzione opposta, perché all’uomo solo al comando si accompagna l’indebolimento dei contropoteri.

Questo viene dalla riforma costituzionale giunta all’ultimo voto, dalla legge elettorale già approvata, dalla riforma della RAI, da quella della pubblica amministrazione. Come viene dal perdurante attacco ai sindacati testimoniato dalla battuta su Marchionne (vale anche per Montezemolo, dopo i Panama Papers?).

Prendiamo atto che Scalfari ha cambiato idea. Noi rimaniamo della nostra, e il renzismo continua a non piacerci.

Non vogliamo che dietro l’uomo solo al comando si nasconda il pifferaio magico.