Si chiamano xerofite o xerofile, significa amanti del secco, sono tutte le piante della macchia mediterranea e le piante che sopportano di vegetare in condizioni estreme.

Nessuna pianta può vivere in assenza assoluta di acqua, le xerofite possono vivere e svolgere le proprie funzioni in presenza di acqua residua nel sottosuolo oppure in situazioni nelle quali le piogge sono rarefatte e concentrate in uno solo o pochissimi periodi dell’anno. Sono le piante che dobbiamo imparare a conoscere ed apprezzare, sono quelle che affronteranno meglio i cambiamenti climatici spaventosi in atto e grazie alle quali potremo contribuire a fermare il deserto. Noi ci rivolgiamo agli orticoltori, ai nuovi contadini, a chi possiede solamente un terrazzo o un balcone, a chi non ha di certo i mezzi per piantumare su larga scala, come si dovrebbe fare, carrubi o cipressi, tamerici, cisti o corbezzoli.

PARLIAMO DI ESSENZE CHE CIASCUNO è in grado di procurarsi e che, una volta insediate nel proprio fazzoletto di terra, facilmente adattate, possano fuggire, ovvero disseminarsi nell’ambiente circostante e, da vere «piante vagabonde» – la definizione è di Gilles Clément – invadere i luoghi incolti, quelli al confine tra selvatico e coltivato, tra luoghi antropizzati parzialmente. Anche questo concetto lo dobbiamo al grande giardiniere francese, significa disseminarsi, contribuendo a rendere il terreno più fiorito e quindi aiutandovi la piccola fauna, nel «terzo paesaggio».

TUTTE LE PIANTE SUCCULENTE o altrimenti dette grasse, come l’agave, liberando i propri semi, insediandosi dove sarebbe oltremodo costoso ed arduo andare a mettere a dimora qualcosa, svolgono questo prezioso compito. Ciò vuol dire che se hai messo a dimora un’agave, sia la monocroma ferox oppure la striata, a due colori, lasciandola produrre il suo maestoso spadice – ci vogliono trent’anni ma ne vale la pena – ammirerai per diversi mesi questo maestoso capolavoro della natura, avrai, con ogni probabilità, dato la possibilità a migliaia di semi portati dal vento di annidarsi per ogni dove andando a popolare scogliere a precipizio, anfratti i più impossibili e dove, crescendo e moltiplicandosi ulteriormente, quelle agavi proseguiranno il loro cammino.
Magari non tutti possiedono lo spazio per ospitare un’agave, passiamo allora a descrivere essenze dalla dimensione più contenuta che ultimando il proprio ciclo, oltre a regalarci molte soddisfazioni, svolgeranno lo stesso prezioso e necessario compito svolto anche da una sola agave. Enothera, altea, lychnis, bocche di leone, elicriso, origano, amaranto, cominciamo da queste piante.

L’ENOTHERA, UNA PIANTA che si presta benissimo ad essere coltivata in vaso, oenothera biennis, dovremmo tutti averla nel nostro orto. Pianta bienne, ovvero il primo anno, esattamente come il prezzemolo, avremo solo la produzione del cespo di foglie, il secondo la vedremo innalzarsi e fiorire. Da prediligere in quanto, oltre ad essere davvero parca in fatto di consumi d’acqua, fiorisce di notte, o meglio all’imbrunire. Una pianta cara, ideale per chi avesse bambini e li volesse stupire. Infatti, ad una determinata ora ed è sempre quella, questa pianta svolge il suo fiore giallo intenso, piano piano, si libera e come in una esplosione silenziosa, un silente fuoco d’artificio, in tempo reale – più è grande la pianta e maggiore sarà l’impatto visivo – i nostri bambini potranno essere condotti a vedere questa meraviglia della natura semplicemente stando sul davanzale (a seconda delle zone d’Italia, ciò accade dopo l’ora di cena, ed equivale al racconto di una favola).

I FIORI, PROFUMATISSIMI, si possono anche mangiare, friggendo con pochissimo olio e sono buonissimi. I semi, neri e piccolissimi, sono usati per ricavarne un olio, l’olio di enotera, dalle molteplici ed accertate virtù farmacologiche. L’altea o alcea, anch’essa biennale dopo averci dato fiori ampi e dai colori più vari – ne esistono di bianche, rosa dalle intensità più chiare a quelle più scure, ne esistono e sono più rare, stupende, quasi nere – libera tantissimi semi: una parte potremmo tenerli per continuarne la vita da noi, altri, portati dal vento, colonizzeranno altrove.

COSÌ COME LA LYCHNIS o croce di Gerusalemme, fiorellino dalla peluria biancastra, argentea, cresce bene anche nel terreno più arido, ci offrirà fiorellini vellutati. Ne esistono di rossi o di bianchi, o le bocche di leone, il comune origano, libera questi minuscoli semi che oltre a proliferare bene negli ambienti mediterranei più sassosi, non disdegna nemmeno gli interstizi dell’asfalto di città come Basilea: nei pressi dell’orto botanico di quella città, il Merian Garden, è sfuggito proprio dall’orto stesso e come Pollicino, spuntando dappertutto tra le fenditure del marciapiedi, mi ha guidato fino a destinazione.

Per fortuna sono molte le specie che possiamo coltivare, siano esse fiori o erbe officinali, che ci permetteranno di dare il nostro silenzioso quanto necessario e colorato, profumato contributo al deserto, sia colturale che mentale, che sta avanzando.

Non è più bello portare i nostri bimbi ad ammirare una enotera, pianta orologio che si schiude, oppure ad insegnare ad aprire, delicatamente la bocca di un bocca di leone, piuttosto che lasciarli da soli su uno smartphone? Sono tante le pianticelle che possiamo coltivare, la valeriana rossa, ciananthus ruber, o centranthus ruber, i botanici litigano tra loro, così come l’amaranto; se partiamo da queste piante, facili da coltivare e che richiedono poco spazio, e lo facciamo in molti, vedremo che gli spazi incolti cittadini e periurbani cominceranno a diventare più verdi e saremo stati noi, senza alcuna delibera di giunta, imitando quanto accade in natura, a combattere la desertificazione del territorio.

I NOSTRI FIGLI, LA «GENERAZIONE DI GRETA», hanno bisogno disperatamente di sapersi rendere utili con concretezza, ogni giorno, viceversa, saranno preda di piccoli predicatori in sedicesimo bravi tanto a chiacchierare e basta. Se non vi piantiamo questi piccoli e preziosi, umili e necessari fiori dentro, se non cominciamo subito, non sarà solo il pianeta ad inaridirsi.

Fermare il deserto è possibile, ci vogliono infiniti e quotidiani piccoli gesti dei quali essere molto consapevoli. Possiamo cominciare subito, portiamo i nostri bambini, queste sere d’estate, sul balcone a vedere fiorire davanti ai loro occhi, la bella e profumata enotera. Gli inglesi la chiamano, non a caso, Evening Primrose, la primula della sera.