Arrestato, percosso e incarcerato il 28 agosto «per aver lanciato pietre e oggetti contro i soldati israeliani» durante una manifestazione «illegale» nel villaggio palestinese di Nabi Saleh, Vittorio Fera due giorni fa ha visto decadere tutte le accuse nei suoi confronti. I giudici israeliani hanno deciso di non proseguire l’azione giudiziaria, confermando così che non erano vere le accuse rivolte dai militari all’attivista italiano del “Movimento internazionale di solidarietà” con il popolo palestinese (Ism). Fera, scarcerato il 31 agosto su cauzione, si preparava ad essere espulso da Israele, la stessa sorte subita da decine e decine di attivisti internazionali in questi ultimi anni, non pochi dei quali italiani. Le cose sono andate diversamente. Lo abbiamo incontrato a Ramallah.

 

 

Raccontaci come è andata quel 28 agosto

 

Ero andato alla manifestazione che gli abitanti di Nabi Saleh tengono ogni venerdì per protestare contro la colonia israeliana di Halamish, che ha preso al loro villaggio terre e acqua. Ad un certo punto un soldato ha tentato di arrestare un ragazzino, Mohammed, della famiglia Tamimi, che qualche giorno prima era caduto e si era rotto un braccio durante un raid dell’esercito. Sono perciò intervenuti i familiari per cercare di liberarlo. Mentre stavo filmando quelle scene sono arrivati alcuni militari che mi hanno intimato di fermarmi e rimcorso. Poi in tre mi hanno preso e buttato per terra. Mi hanno picchiato e portato alla loro jeep dove c’era un altro giovane, un palestinese, Mahmud Tamimi. Dietro la camionetta siamo stati risbattuti per terra e picchiati. Anche all’interno della jeep siamo stati percossi. Mi hanno rivolto ingiurie e colpito con il calcio del fucile. Stesso trattamento quando siamo arrivati alla base, dove mi hanno messo le fascette ai polsi e sono stato bendato. Quindi mi hanno chiuso in uno spogliatoio dove, dopo una quarantina di minuti, un responsabile dell’infermeria che mi ha fatto una visita medica molto superficiale.

 

 

Poi cosa è accaduto

 

Mi hanno chiesto di firmare un documento in lingua ebraica. In reazione al mio rifiuto mi hanno di nuovo ammanettato e bendato e lasciato seduto per terra per sei ore in una posizione molto coercitiva. Ho chiesto di parlare con il mio avvocato. Per tutta risposta, bendato e con le mani legate, mi hanno portato alla stazione di polizia di Benyamin (una colonia, ndr). Qui un investigatore mi ha permesso di parlare con l’avvocato ma allo stesso tempo mi ha accusato di aver lanciato pietre e oggetti (contro i soldati, ndr) e di aver partecipato a una manifestazione illegale.

 

Tu le avevi lanciate quelle pietre

 

No, ho soltanto documentato ciò che avveniva a Nabi Saleh. Il lancio di pietre è una accusa che l’esercito rivolge sempre (a chi partecipa a manifestazioni). Stavolta è stata rivolta a un internazionale, quasi sempre colpisce i palestinesi e le pene detentive sono molto dure. Non essendoci pressioni internazionali, Israele può permettersi di approvare leggi repressive con l’obiettivo di fiaccare ogni resistenza palestinese. Si arroga il diritto di mettere in prigione, in detenzione amministrativa (senza processo), un palestinese solo perchè ha preso parte a una manifestazione. Siamo di fronte a un sistema giudiziario che partecipa alle politiche volte a fiaccare la resistenza anche non violenta dei palestinesi all’occupazione.

 

 

Torniamo alla tua detenzione

 

Sono rimasto a Benyamin fino alle 15 del giorno successivo, poi mi hanno portato alla prigione di Lod. Alla prima udienza, quella preliminare, sono stato trasferito dal carcere al tribunale con le mani e i piedi ammanettati, come un criminale. Il giudice ha convalidato il mio arresto e fissato una nuova udienza per il lunedì successivo. Tengo a sottolineare che le guardie carcerarie non hanno mancato di informare gli altri detenuti dei motivi per i quali ero stato arrestato, esponendomi all’ostilità di alcuni di quelli che erano in cella con me. C’era anche un colono di Gilo e in qualche momento ho temuto per la mia incolumità.

 

 

Perchè, a tuo avviso, le autorità israeliane non vogliono gli attivisti internazionali nei Territori palestinesi occupati

 

Gli internazionali danno tanto fastidio, lo dicono i controlli repressivi ai quali molti sono sottoposti prima di poter entrare in Israele. Si tratta di controlli fatti per scoraggiare i cittadini di altri Paesi intenzionati a verificare e documentare quanto accade in questa terra. Israele sa che certe foto, certe informazioni danneggiano la sua immagine all’esterno. In verità la comunità internazionale spesso si gira dall’altra parte ma le autorità israeliane sentono ugualmente di dovere fermare chi intende raccontare, documentare, fare interposizione o da deterrente.