«Sui temi ambientali la società civile ha acquisito una consapevolezza da cui la classe dirigente politica è ancora lontana. È una delle principali questioni su cui lavorare nei prossimi anni. Insieme al fatto che quello ambientalista può e deve essere sempre più un movimento popolare, e non più d’élite».

Vittorio Cogliati Dezza, insegnante di storia e filosofia, autore di saggi sul ruolo delle scienze e dell’educazione scientifica, ricercatore nei campi dell’educazione ambientale e la cittadinanza attiva, lascia la guida di Legambiente dopo due mandati. Otto anni di lavoro al vertice dell’organizzazione ambientalista più autorevole in Italia. Al congresso nazionale di Milano, che ha aperto ieri con un discorso seguito da una standing ovation, domani verrà eletto il suo successore: per la direttrice Rossella Muroni, sociologa con una lunga esperienza interna, dovrebbe trattarsi solo di una formalità.

Qual è il bilancio di questi anni, dal 2008 quando diventò presidente?
Abbiamo vissuto un’epoca di veloci e profondi cambiamenti. Il tema dell’ambiente è diventato centrale. Di questo c’è una consapevolezza molto più diffusa, come dimostra anche l’attenzione dei media per la Conferenza di Parigi, che non significa parlare “solo” di surriscaldamento globale, ma di tutte le questioni interconnesse, fonti energetiche, guerre, profughi e disuguaglianze sociali. Anche se le multinazionali continuano a pesare moltissimo, oggi esiste un’economia vera che nasce dai cambiamenti di stili di vita e dalla consapevolezza: penso alle rinnovabili, all’esplosione del biologico, al car sharing, all’industria legata alla bicicletta, all’utilizzo di prodotti riciclati, alla riduzione del consumo di carne.

Però?
Il problema è che non registriamo un’adeguata attenzione politica, né a livello europeo né nazionale. Quella che una volta si chiamava socialdemocrazia ha perso la propria identità nell’inseguire politiche di centrodestra. Un esempio è la risposta della Francia al terrorismo dell’Isis: come se la situazione si potesse risolvere con qualche bombardamento in Siria, mentre si tace il fatto che dopo il 13 novembre le azioni di Finmeccanica siano schizzate dell’8%. Il punto è intervenire su armi e fonti energetiche: l’Isis guadagna 1 miliardo e mezzo al giorno solo con la vendita clandestina di petrolio. È evidente che vadano tolti i sussidi alle fossili, un punto sul quale registriamo aperture positive rispetto al passato ma che resta ancora in un orizzonte lontano. Alcune delle idee che hanno governato il Novecento non sono state rottamate.

Ancora una volta, quindi, il problema riguarda la crisi di rappresentanza.
Questa società civile più consapevole è disaggregata e non ha ancora rappresentanza politica. Del resto, la rigenerazione della politica è un processo lungo, che non può scattare a comando in procinto di una scadenza elettorale. Questa società orizzontale sta crescendo, e anche l’enciclica Laudato sì significherà l’acquisizione di consapevolezza da parte di decine di migliaia di persone, ma non si riconosce ancora come soggetto sociale, in grado di obbligare la politica ad un reale cambiamento. In Europa ha prevalso una cultura politica che ha smesso di opporsi alle disuguaglianze sociali e si è schierata a difesa del capitale finanziario. In Italia a tutto questo si aggiunge una sclerosi della classe dirigente, che ancora guarda alle grandi lobbies del Novecento. Per dire: molti associati di Confindustria, sono già consapevoli della centralità ambientale, ma la corporazione non li vede e non li ascolta.

Legambiente è stata più volte accusata di subalternità al Pd, come risponde?
Abbiamo acquisito una totale autonomia rispetto alla politica e autorevolezza sociale. Nelle ultime battaglie ci siamo mossi in assoluta autonomia, come dimostra anche quella per l’approvazione degli ecoreati, che porta la firma trasversale di Sel, 5 stelle e la parte più progressista del Pd.

Che giudizio dà dei lavori di Cop21?
Mi pare ci sia stato un salto di qualità, specie per aver presentato le questioni per come sono, ovvero interconnesse tra loro. I punti principali sono la definizione di risorse da mettere a disposizione – e qui va registrato che se venissero tolte alle fonti fossili, avremmo subito utilizzabili 1.800 miliardi l’anno in più – la possibilità di modificare gli obiettivi in corso d’opera, e la distribuzione del carico tra i Paesi di nuovo sviluppo. Difficile sperare in un accordo soddisfacente, spero vi si possa arrivare a breve.

Quali obiettivi indica a Legambiente per il futuro?
Sul breve periodo dobbiamo occuparci della scadenza dei referendum sulle trivellazioni, del diritto di voto alle amministrative per gli stranieri residenti da almeno 5 anni (solo chi ha un reale legame col territorio se ne prenderà cura), di fare pressione perché l’Onu riconosca lo status di profugo ambientale, di lanciare una campagna europea per la raccolta di firme per una direttiva contro il consumo di suolo. Un altro obiettivo è che entro il 2020 la quota di terreno biologico arrivi al 20%, ovvero venga raddoppiata. E dovremmo riuscire ad interloquire meglio con i mondi della cultura, dell’arte, dei media, perché le questioni ambientali vengano trattate con minore superficialità.