La scomparsa improvvisa ed inaspettata il 29 ottobre scorso di Vittorio Boarini lascia un vuoto enorme a Bologna, dov’era nato 86 anni fa, ancora pochi giorni e l’11 novembre li avrebbe compiuti, e aveva vissuto tutta la sua carriera di critico cinematografico e operatore culturale. Ma ne lascia ancora uno più grande nella cultura italiana del secondo ‘900. Come egli stesso rammenta in uno scritto biografico i suoi inizi a leggerli sono rutilanti ed impensabili per un giovane d’oggi: «Mi sono laureato in Scienze Politiche, all’Università Cesare Alfieri di Firenze, nel 1961, e subito ho assunto la direzione del settore cultura del Comune di Bologna. In tale ruolo ho partecipato all’ideazione e costituzione della Commissione Cinema, voluta da Renato Zangheri, in stretta collaborazione con la quale, fra la fine dei sessanta e l’inizio dei settanta, ho progettato e fondato la Cineteca comunale (1974). In quel periodo avevo dovuto lasciare la direzione del Settore cultura (1966), in seguito alla mia rottura con il PCI, del quale ero un dirigente».

Era il clima dell’epoca, effervescente, contestatario, problematico, in cui a dettar le regole d’ingaggio era una creatività liberata da gabbie ideologiche le cui chiavi mostravano la ruggine degli anni. Boarini seppe sincronizzarsi su quell’orologio apparentemente impazzito e lo fece da dentro le istituzioni, inventando di sana pianta il nucleo e il primo tempo di quello che sarà la Cineteca del capoluogo felsineo, oggi una delle più importanti del mondo, sia per il patrimonio conservato, i restauri e la produzione culturale ed editoriale, divisa tra festival, edizioni in dvd e pubblicazioni.

Per molti forse la Cineteca è l’apice del suo lascito intellettuale. Più dei tanti incarichi come docente universitario e della direzione della Fondazione Fellini a Rimini, facendo diventare il divertimentificio per antonomasia italiano, il centro nevralgico dell’immaginario felliniano. Ma, vi è forse un ulteriore capolavoro nella sua carriera che come la Cineteca è una diramazione dei programmi contenuti nella sua direzione della Mostra internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme, assunta nel 1969 e condotta tra felici sperimentazioni per molti anni. Qui Boarini, profondo conoscitore del Surrealismo e delle avanguardie storiche, aperto ad una ricezione filosofico-lacaniana del cinema e della psicoanalisi in cui sapeva mediare tra le linee preponderanti del marxismo – freudiano degli anni ’70, immaginò una serie di convegni, accompagnati da retrospettive e
pubblicazioni, in cui intellettuali, scrittori, filosofi, giuristi, cineasti si confrontassero su temi allora preponderanti.

Da quella lontana piattaforma progettuale venne fuori nel 1973 Erotismo Eversione Merce, convegno e l’anno successivo libro – purtroppo vanificato per motivi economici nella sua componente cinematografica (curiosità: il titolo lo pensò Renzo Renzi) – con un panel d’altri tempi che andava da Pasolini a Guattari, da Lattuada ad Elemire Zolla e tanti altri. Mi si permetta, infine, una divagazione in quanto parte in commedia nella cura della nuova edizione di Erotismo Eversione Merce (pubblicato con nuovi interventi dalla Mimesis nel 2019). Oggi guardando indietro all’unico incontro di presentazione del libro, avvenuto all’Archiginnasio bolognese e nella medesima sala in cui si svolse il convegno,  la memoria assume contorni nitidi che non lasciano sfumare il ricordo di quanto Boarini disse all’uditorio ripercorrendo in uno slancio intellettuale di raro rigore critico ed interpretativo l’intero XX secolo, filtrato dalle sue intatte passioni. E si era alla fine di gennaio. A pochi giorni dall’inizio dell’annus horribilis.