C’è voluto uno sciopero della fame di 117 giorni, accompagnato da un clamore anche internazionale, per indurre il governo cileno a riconsiderare il caso dei quattro mapuche arrestati un anno e mezzo fa con l’accusa di aver compiuto un attentato incendiario contro una chiesa evangelica, a Padre Las Casas (nell’Araucanía), malgrado l’assenza di prove contro di loro.

É L’ENNESIMO CASO DI ABUSO realizzato nel quadro della Legge Antiterrorista promulgata durante la dittatura di Pinochet, che permette la detenzione preventiva illimitata dei sospettati, la possibilità di un doppio processo, civile e militare, e di duplicare o triplicare le pene. Un’arma usata tanto dai governi di destra quanto da quelli di centro-sinistra, mentre risuona ancora nelle orecchie dei cileni la promessa pronunciata nel 2013 dalla presidente Michelle Bachelet a non ricorrere più in alcun caso alla contestatissima legge.

UN’ARMA A CUI I MAPUCHE, figli di un popolo guerriero che non si è mai arreso ai colonizzatori, oppongono l’unica carta che è loro rimasta, quella dei loro corpi. Così, il 6 giugno scorso, dopo 15 mesi di carcere preventivo nella prigione di Temuco, in base alla sola accusa di testimoni senza identità conosciuta, il lonko (responsabile di una delle comunità mapuche) Alfredo Tralcal Coche e i fratelli Benito, Ariel e Pablo Trangol avevano deciso di intraprendere lo sciopero della fame, contro l’applicazione della Legge Antiterrorista e l’uso dei cosiddetti «testimoni senza volto».

Solo dinanzi alle preoccupanti condizioni di salute dei 4 e all’intensificarsi delle manifestazioni di protesta, tutte violentemente represse dalle forze speciali dei carabinieri, che il governo, al termine di una riunione con i familiari alla presenza della stessa presidente, ha annunciato, il 30 settembre, il ritiro della denuncia nel quadro della Legge Antiterrorista, con conseguente trasferimento della causa alla legislazione penale ordinaria.

UN ANNUNCIO a cui è seguita la decisione dei quattro detenuti di sospendere lo sciopero della fame (è andato avanti per un altro giorno il solo Ariel Trangol): «La nostra speranza – hanno dichiarato – è che, in seguito agli impegni assunti dal governo, nessun mapuche debba più mettere a repentaglio la propria salute e la propria vita per ottenere un giusto processo». Non è incoraggiante, tuttavia, che la decisione del governo abbia ricevuto diverse critiche, come quella, per esempio, del presidente della Confederazione nazionale dei camionisti Sergio Pérez, il quale l’ha definita «un pessimo segnale», dal momento che «qualunque criminale della peggior specie» potrebbe ora cavarsela «semplicemente» rifiutandosi di assumere alimenti.

LE COMUNITÀ INDIGENE e organizzazioni sociali e politiche tanto del Cile quanto dell’Argentina, hanno denunciato in un comunicato congiunto l’escalation di violenza contro il popolo mapuche registrata negli ultimi mesi su entrambi i lati della Cordigliera, riconducendola al sostegno dei governi a industrie petrolifere e minerarie, imprese agroalimentari e grandi latifondisti.