Rimini, città entrata nell’immaginario collettivo come luogo mitico della vacanza economica e bonariamente trasgressiva, dove vitelloni dalle misere esistenze cercavano di poter fare conquiste galanti da evocare spavaldamente al bar nei lunghi inverni che seguivano a quelle manciate di giorni passati al sole. Non poteva che essere ambientato in questa città il nuovo romanzo di Massimo Carlotto Il mondo non mi deve nulla (edizioni e/o, pp. 106, euro 9.50).

Già, perché la storia che lo scrittore italiano racconta è una storia a suo modo banale, ma tuttavia significativa degli umori, delle tensioni, dei buchi neri che la «Grande crisi! ha provocato nella società italiana, non risparmiando nessuno, neppure l’affluente Emilia-Romagna, considerata l’esempio di un modello sociale dove la ricerca del profitto conviveva con il rispetto dei diritti sociali di cittadinanza. Protagonisti sono Anselmo e Lise, un uomo e una donna alla derive di una vita che promettevano poco e nulla ha loro concesso.

Anselmo è un ex-operaio, orgoglioso del suo mestiere. Ha partecipato anche alle lotte operaie per avere più salario e meno sfruttamento. Ma attorno al mezzo secolo di età la sua fabbrica ha chiuso i battenti. Fa lavoretti, ma per mettere insieme il pranzo e la cena fa il ladro di appartamenti. Piccoli furti per raggranellare un reddito sempre al di sotto delle necessità. La sua compagna cerca, con superdosi di livore e rabbia, di far restare a galla la barca di un rapporto sempre sull’orlo dello squallore. L’altra protagonista, Lise, è tedesca, una croupier da nave da crociera. Ha messo da parte un buon gruzzolo, che dovrebbe consentirle una vecchiaia agiata. Ha scelto di vivere a Rimini perché è la città natale dell’amore della sua vita, che l’ha però scaricata senza nessun preavviso. Abitare in quella piccola città marina alimenta la sua speranza di poterlo di nuovo incontrare. La banca le ha consigliato investimenti a rischio, ma sicuri. In realtà, una débâcle per le sue finanze. Tempo un anno è si ritroverà ad essere povera, buona per qualche ospizio, perché ha ormai sessant’anni.

L’incontro tra i due avviene quando Anselmo si introduce nell’appartamento della donna. E sarà proprio lei che gli chiede di ucciderla. Meglio morire che una vecchiaia in povertà, afferma. Il compenso sarà una cifra non alta, ma tuttavia utile per far vivere l’uomo almeno cinque, sei anni di vita dignitosa. Le discussioni tra i due seguono sempre lo stesso cliché. Lisa accusa Anselmo di essere un fallito, ma che può riscattare il suo fallimento uccidendola. Anselmo respinge la proposta, ma è attirato da quella donna che alterna seduzione a arroganza.

Non è la prima volta che Massimo Carlotto affronta il tema della crisi e dei virus letali che introduce nelle relazioni umane: risentimento, frustrazione, senso di sconfitta, sono il pane quotidiano di chi è relegato ai margini. Ogni volta Carlotto aggiunge un tassello al mosaico che sta costruendo sulla società italiana. Questa volta lo sfondo è dunque quell’Emilia Romagna che per decenni è stata considerata un modello. Non è più così. Soltanto che ad essere spinti ai margini è la maggioranza della popolazione. Se mai la retorica del 99 per cento di poveri e l’1 per cento dei ricchi ha avuto un senso, nelle pagine di questo romanzo acquista un valore esemplificativo di come va il mondo.

Lise afferma che il mondo non le deve nulla. Ha sempre diviso l’umanità in falliti e vincenti. Lei ha provato a diventare parte dell’1 per cento, ma ha fallito. Anselmo è il classico maschio, operaio che credeva che il mondo potesse se non essere cambiato, almeno addomesticato. Nessuno dei due, si pone il problema del perché la realtà è diventata una fabbrica che produce a ciclo continuo scarti umani come loro. Una assenza di consapevolezza letale per i due protagonisti. Hanno infatti rinunciato a chiedere al mondo qualcosa. Una rinuncia che ha un prezzo caro da pagare: la cancellazione di ogni dignità.

Romanzo amaro, amarissimo questo di Carlotto, che apre la finestra su una realtà trasformata ormai in uno spettacolo da sfruttare per far aumentare l’audience di talk show in crisi di credibilità. Dopo gli affari di cuore trasformati in rissa da salotti, adesso anche la povertà val bene per qualche punto di percentuale in più nello share dell’entertainment.