Siamo stati allenati alla frenesia di questo mondo da una figura genitoriale strana e multiforme: il videogame”, scrive Diego K. Pierini nel suo libro Vite Infinite, pubblicato da Ultra, ovvero “le memorie ad accesso casuale di un videogamer”. Si tratta di un testo ibrido, come la generazione alla quale fa riferimento l’autore nato nel 1979, sospesa tra la fine di un secolo e l’inizio dell’altro e testimone di una dissolvenza culturale incrociata che trascorre con una velocità ipercinetica, in un montaggio precalcolato dagli eventi storici condizionati dall’evoluzione miracolosa e inquietante delle nuove tecnologie. La natura ibrida dello scritto di Pierini consiste nella sua forma letteraria, dove il romanzo della memoria si innesta nella dimensione didattica del saggio, miscelando il ricordo della propria esperienza videoludica connesa in maniera inestricabile con l’esistenza e la cronaca del sorgere dell’intrattenimento elettronico, come fenomeno dapprima di nicchia, per pochi “tecno-nerd” sognatori, poi di massa. Sono proprio la natura chimerica e il suo continuo, ritmato in maniera musicale, scollarsi dall’oggetto per ritornare al soggetto ad emancipare in maniera apassionante il testo di Pierini da tanta letteratura videoludica accademica, trasformando il libro in qualcosa che potrebbe essere squisitamente fantascientico se fosse stato scritto e immaginato negli anni ’70 del secolo scorso. Vite Infinite parebbe quasi un’invenzione alla Philip K. Dick – se non fosse tutto vero e già avvenuto- su un futuro prossimo e i suoi sogni virtuali che irrompono nel tessuto della realtà. Tuttavia Vite Infinite tratta del presente più recente e la sua importanza come racconto di un’era ancora in evoluzione, sebbene quasi smarrita in un prolungato crepuscolo, non nega il valore informativo e divulgativo del testo. D’altronde il videogame è una materia ancora più complessa di cinema e letteratura da trattare in maniera oggettiva, perchè l’interazione tra il giocator e il gioco è ancora più potente di quella che si instaura tra lettore e testo o tra spettatore e pellicola. La scrittura videoludica di Pierini è quindi comparabile a quella di un attore di teatro che dovesse trattare in un saggio il dramma appena recitato come protagonista. E durante la recita è come se il testo si trasformasse e l’attore dovesse adeguarsi sul palco, mettendosi in scena in maniera sempre cangiante, diventando il regista di se stesso, poichè, come sottolinea Pierini con efficacia, a mutare negli anni non è stato solo il videogioco, ma soprattutto il rapporto che il pubblico e la società hanno con questo. E con il videogioco si sono vissute, si vivono e si vivranno centinaia di esistenze: da quella minimale di pochissimi bit a forma di cerchio giallo mangiatutto fino a quella di personaggi dalla contorta e abissale psiche shakesperiana in mondi vasti quasi quanto quello “vero”.