Di cosa parliamo quando parliamo di «potere»? C’è qualcosa che vi resiste e, resistendovi, permette di scorgerne meglio le forme? In quali modi la marginalizzazione dello Stato-Nazione e l’avvento della globalizzazione trasformano sia l’esercizio del potere che le azioni che vi si oppongono? Sono alcune delle questioni che attraversano il volume di Sandro Chignola Da dentro Biopolitica, bioeconomia, Italian Theory (DeriveApprodi, pp. 191, € 17,00) dove la posta in gioco è individuare le tendenze che possono favorire l’emanciparsi dalla prevaricazione che, in modo ora manifesto, ora strisciante, connota le odierne forme di accumulazione postindustriale e finanziaria.

Studioso addestrato alla storia dei concetti, ma anche esperto lettore dell’opera di Michel Foucault (il filosofo più convocato nel libro, e per «ragionare con Marx oltre Marx»), Chignola considera che nella configurazione corrente della società capitalistica la differenza tra tempo della vita e tempo del lavoro è divenuta sempre più tenue: l’estrazione di valore avviene ormai facendo leva sulla plasticità stessa dei processi che definiscono l’uomo in quanto vivente, le sue caratteristiche di indeterminazione e di flessibilità cognitiva come le sue generali capacità linguistiche e relazionali. Ciò che con il superamento della fase industrialistica del capitalismo è stato messo al lavoro è la vita come tale, inscritta in cicli produttivi permanenti grazie a tecnologie capaci di scomporla in flussi informativi che tracciano stili di consumo e modi del comportamento.

Gli «algoritmi setacciano, estraggono, incrociano, accumulano e confrontano i dati nei quali il vivente, ritrascritto a partire dalla mobilità dei suoi desideri, delle sue opzioni, delle posizioni che lo localizzano, viene scomposto e provvisoriamente riassemblato come una sequenza di bit». Così si può dire che se la realtà della fabbrica è in via di sparizione, è perché la società stessa va assumendo la fisionomia di una fabbrica – fabbrica immane, in perpetuo movimento, capace di sussumere i soggetti ben oltre ritmi e misure della giornata lavorativa.
Chignola scrive pagine rilevanti sulle dinamiche che accompagnano questo processo, lo rendono possibile o lo rilanciano.

i grande interesse sono in particolare l’esame della cosiddetta governance (letta come modalità di risposta preventiva all’eventualità dell’insubordinazione), le analisi sul senso e gli effetti delle biotecnologie (sequenziazione del genoma, medicalizzazione della vita), le osservazioni sulla trasformazione dei modi della penalità (il business imprenditoriale delle carceri private). Ma il punto essenziale su cui il libro insiste – ricorrendo a un modulo teorico d’ispirazione post-operaista – è l’urgenza di riconoscere che il processo attraverso cui il potere investe la vita e pare dominarla può renderci più consapevoli del fatto che la vita stessa è un potere, e un potere di resistenza, mai interamente dominabile dalle tecniche tendenti a catturarla.

Polemizzando senz’altro con quello che definisce il nucleo «vittimario» della proposta filosofica di Giorgio Agamben, e richiamandosi piuttosto alla riflessione di Toni Negri, Chignola invita così a considerare che le esistenze incarnate sono capaci di quotidiane pratiche di liberazione dalle forme che pretenderebbero di regolarle. Contro quanti ritengono che le soggettività siano irrimediabilmente irretite dal potere, Da dentro analizza così la loro capacità di piegare altrimenti le norme di un’epoca e di riconnettere diversamente le forze in campo.