L’orrore si fa largo d’improvviso. Assume la forma di una scarpa da donna che galleggia in mezzo al mare o delle sagome scure che bagagli abbandonati alla deriva proiettano sull’acqua, nel medesimo centro di niente, nel cuore oscuro del Mediterraneo, là dove il blu profondo si tinge di un nero disperato. Ma bastano pochi minuti per rendersi conto che la tragedia che si è appena consumata cela, se possibile, qualcosa di ancor più sinistro. È solo grazie all’allarme lanciato troppo tardi dall’imbarcazione stipata di profughi che si è rovesciata a poche miglia dalle coste italiane che il pescherecchio su cui viaggiano centinaia di siriani lungo la stessa rotta sarà tratto in salvo. «Dobbiamo la vita a quei morti», si scoprirà a pensare sconvolto uno di questi ultimi una volta messo piede su una spiaggia della Sicilia.

L’idea che il loro viaggio possa terminare con la morte, dopo mesi passati alla mercé di ogni sorta di trafficanti e poliziotti corrotti, domina l’orizzonte in cui si muovono il gruppo di giovani siriani che il giornalista tedesco Wolfgang Bauer ha seguito lungo il complesso itinerario che muove dalle coste dell’Egitto per concludersi dapprima nel nostro paese e poi nel nord Europa. Ma ciò che rende davvero preziose le testimonianze raccolte da Bauer in Al di là del mare, pubblicato in questi giorni da la Nuova frontiera (pp. 160, euro 12,00), traduzione di Angela Ricci, e che fa di questo libro un documento utilissimo per comprendere appieno il significato della migrazione di massa che caratterizza il nostro tempo, è il carattere tutto affatto straordinario di ciò che racconta, la drammatica, e per questo forse ancor più terribile, «normalità» delle storie e delle vicende che descrive. «Il Mediterraneo è insieme la culla dell’Europa e il teatro del suo più clamoroso fallimento», spiega il reporter. Per coloro che sono costretti a viaggiare senza documenti, o con documenti contraffatti per eludere chekpoint e barriere, il mondo circostante appare come il «negativo fotografico della realta (…) il nero è bianco e il bianco è nero». Le condizioni che spingono necessariamente i migranti e i profughi nell’illegalità non sono il rovesciamento del nostro stile di vita, solo la sua immagine al negativo: la realtà è la medesima.

La vita in palio

Reporter di razza, che da cronista embedded ha in passato raccontato degli abusi compiuti dai soldati americani in Afghanistan, Bauer ha conosciuto alcuni degli uomini dei quali ha poi deciso di seguire le tracce anche nel loro tentativo di giungere in Europa – Amar, Alaa, Hussan e Bashar, ma i nomi sono di fantasia – quando copriva per la Zeit la rivolta di piazza contro Assad e il debutto della guerra civile siriana. Ha stretto legami e amicizie che ha ritrovato un paio d’anni più tardi al Cairo, in uno dei paesi che insieme a Turchia e Giordania ha accolto il maggior numero di rifugiati fuggiti da Damasco. Non si tratta degli «ultimi»: questi siriani fuggono sì da guerra e distruzione, ma nel loro paese erano spesso commercianti di successo, lavoravano nel celebre bazar della capitale. Semplicemente quello dell’ingresso irregolare in un paese dell’Unione Europea è l’unico modo che hanno per tentare di costruirsi una nuova esistenza: se andrà bene, si faranno raggiungere dalla famiglia rimasta in Egitto. In migliaia tentano ogni settimana la sorte in questo modo, affrontando un viaggio dove in palio c’è la vita stessa, ma che nel luogo di partenza come in quello dell’auspicato arrivo, sembra rispondere a delle regole, per quanto implacabili.

«Il traffico di esseri umani in Egitto ha una struttura non troppo diversa da quella dell’industria turistica, – racconta Bauer – Tutto il paese è disseminato di punti vendita, gestiti dai cosiddetti agenti. Ai clienti danno a intendere di servirsi solo dei migliori scafisti, la verita e che non ne hanno molti a disposizione». La «traversata» costa intorno ai tremila dollari: «si possono trovare offerte migliori o peggiori, ma alla fine non c’e differenza tra prima e seconda classe, si finisce tutti nello stesso barcone».

Ma, nota ancora il giornalista, in modo pressoché simmetrico all’azione degli scafisti e dei trafficanti di esseri umani, agiscono ovunque lungo i confini meridionali della Ue, le forze dell’ordine e i militari. «Le zone di confine che i guardiani delle porte dell’Europa ritengono piu pericolose, per i profughi sono quelle più sicure. La militarizzazione dei confini europei ha costretto i trafficanti di clandestini a intraprendere tragitti sempre piu rischiosi. Ogni tragedia in cui qualche profugo muore viene presa come pretesto dalle autorità per rendere i confini ancora piu «sicuri», ufficialmente per impedire che muoiano altre persone. Ma ogni ulteriore fortificazione delle frontiere non fa che causare nuovi morti».

Dentro e fuori la prigione

Celando la propria idendità dietro a quella di due insegnanti di inglese profughi da una repubblica caucasica, Wolfgang Bauer e il fotografo Stanislav Krupar si sono uniti al gruppo di siriani del Cairo. Entrati in contatto con i trafficanti sono stati trasferiti ad Alessandria dove hanno atteso per oltre un mese il momento della partenza, spostati da un rifugio improvvisato ad un altro, venduti e scambiati da diversi clan concorrenti della baltagiya, la mafia locale che prospera sui profughi, sul traffico di droga e sulla prostituzione. Dopo diverse false partenze, quando il loro viaggio era appena iniziato, la loro imbarcazione è stata intercettata dai guardiacosta egiziani. I due europei sono stati arrestati e espulsi alla volta della Turchia, mentre i siriani hanno passato alcuni mesi in cella prima di essere liberati e tentare nuovamente la sorte.

Qualche mese più tardi, Bauer, contattato da alcuni dei suoi amici che erano finalmente riusciti a raggiungere la Sicilia, li ha raggiunti nel nostro paese per aiutarli ad entrare in Austria per quanto privi di documenti. Nuovamente arrestato, stavolta con l’accusa di traffico di esseri umani, subito caduta, il cronista ha però saputo che alcuni di loro erano finalmente riusciti a raggiungere la tappa finale del loro viaggio, la Svezia. «Accade così che il giornalista che scriveva articoli sui trafficanti all’improvviso si trasformi in un trafficante», scrive Bauer, spiegando come di fronte a leggi che «non fanno altro che opprimere la gente e rendere la società peggiore», sia giusto ribellarsi e tentare di far «attraversare l’Europa a persone prive di documenti di viaggio validi e di visto». Tutto questo, ha poco a che fare con l’eroismo: «Si tratta essenzialmente di non perdere il rispetto per se stessi».