«Una scritta graffiata sulla parete della cella: ’indurirsi senza perdere la propria tenerezza’». Così inizia un bellissimo libro di Alberto Magnaghi, intitolato Un’idea di libertà e dedicato alla propria esperienza in carcere a seguito della famigerata inchiesta nota come 7 aprile che nel 1979 si abbattè su tanti esponenti dell’area dell’autonomia.

QUESTA FRASE sembra in qualche maniera attanagliarsi a un’altra narrazione, anch’essa caratterizzata dalla detenzione, nonostante le differenze che cartterizzano sia l’io narrante sia i luoghi dove si svolge la storia. Si tratta di Colpevoli di omicidio. La vita dentro un carcere di massima sicurezza di Danner Darcleight (Marsilio, pp. 373, euro 18), dove l’autore, condannato da 25 anni all’ergastolo, racconta con partecipazione intensa ma senza alcun patetismo la propria vita all’interno delle prigioni statunitensi.

Darcleight è quanto di più lontano si possa immaginare rispetto a Magnaghi, non ha una chiara coscienza politica, ha commesso un orrendo crimine – che sarà svelato nel corso della narrazione – da diciassette anni vive in prigione, è un ex-tossicodipendente. Eppure quello che più colpisce leggendo il libro è proprio l’emergere in carcere di una sorta di tenerezza interiore, quasi un percorso di costruzione di una nuova (o forse dimenticata, rimossa…) identità e, parallelamente, la costruzione, necessaria, di una dura corazza esteriore che permetta di vivere all’interno di un luogo di detenzione, caratterizzato comunque da durezze e asperità.

Così, si assiste da una parte a una profonda riflessione e risistemazione delle esperienze passate del protagonista, dall’altra alle strategie messe in atto per tentare di superare ostacoli, difficoltà, pericoli propri della vita carceraria. Danner Darcleight racconta di amore e di vera amicizia, della scoperta della letteratura innanzi tutto come bisogno, esigenza di doversi esprimere e poi come, proprio per questo, come strumento di autoconoscenza e di sopravvivenza. Narra di malattia e di pietà, di ansia e angoscia. E nello stesso tempo fa conoscere al lettore la vita quotidiana nel carcere, l’isolamento, le ore d’aria, i trasferimenti, le gerarchie, le prepotenze piccole e grandi. E i fastidi. Quelle piccole cose, a prima vista trascurabili, che però possono rendere la vita «dentro» insopportabile. Come il rumore, quel suono composto da chiacchiericci inutili, urla, strepiti e qualunque altro frastuono, assordante, intollerabile, continuo che davvero può portare un uomo sull’orlo della follia.

TESTO CHE OFFRE, tra l’altro, una galleria di personaggi indimenticabili, Colpevoli di omicidio ha anche il merito di riuscire a demistificare tutta una serie di luoghi comuni sul carcere, riuscendo a far emergere le persone che lo abitano o gli sono in qualche modo collegati in tutta la loro umanità, con i loro aspetti positivi e negativi, rifuggendo dagli stereotipi o da qualsiasi forma di buonismo, ma riuscendo proprio per questo a coinvolgere anche emotivamente il lettore.