Da una decina d’anni mancava da Roma, così che il ritorno di Giuliana Musso ci riporta al 2005 di Bella ciao, il festival di Ascanio Celestini nell’allora X Municipio, quella periferia Est che dal Tuscolano a Cinecittà si estende fino al Castelli Romani. Soppressa nel 2008, il solo titolo dava i brividi a chi romanamente salutava l’ingresso in Campidoglio dei neofascisti, quell’occupazione teatrale del territorio si riverbera sull’ospitalità dell’attrice veneta al Teatro Biblioteca Quarticciolo, che vede la Fabbrica di Celestini in collaborazione con la direzione artistica di Veronica Cruciani.

Siamo ancora nel quadrante Est della città, tra i caseggiati popolari dell’omonimo quartiere, dove questo spazio dalle enormi potenzialità – uno degli ex «teatri di cintura» – vive di singhiozzanti aperture, legate a bandi annuali preparati fuori tempo da assessori incapaci di scegliere e progettare. È come se agli abitanti del Quarticciolo si erogasse l’acqua dai rubinetti ad anni alterni… a teatro si va un anno sì e l’altro no. Per fortuna che, in una Roma desertificata, per il Teatro Quarticciolo questo è l’anno di apertura e Giuliana Musso è arrivata con due spettacoli, La fabbrica dei preti e Mio eroe. Due lavori che la vedono impegnata in scena con una verve attorale sottomessa al suo vissuto autorale e di ricercatrice sul campo.

Presentato nel 2016, Mio eroe guarda ai soldati italiani morti in Afghanistan, attraverso le voci di tre madri. Tematica scivolosa che investe sfere imperscrutabili dell’umana natura e che rischia di appiattirsi sulla retorica del dolore per la perdita del proprio figlio in guerra. Dentro un riquadro erboso e cimiteriale le tre protagoniste si ripetono, tanto che forse una sola figura di madre sarebbe bastata a restituire una realtà in cui è più eroico cadere in guerra che non da un’impalcatura.

Nella tristezza dell’argomento, risulta invece spumeggiante La fabbrica dei preti (del 2012), che l’attrice-autrice indaga libera da luoghi comuni, con la voce di tre anziani uomini, usciti da oscuri seminari preconciliari che hanno prosciugato la spiritualità del loro agire.

Un ritmo comico incalzante, interrotto, tra un personaggio e l’altro, dalla musica su cui scorrono vecchie foto di volti sorridenti, malgrado siano stati loro tolti affetti e godimenti, dagli 11 ai 23 anni. Vite grame avvolte in tonache nere, in un mondo irreale che ha debellato la peccaminosa figura femminile. Compresa la madre.