Se non tutti, quasi. Circa l’85% degli ex deputati che dal prossimo primo gennaio avranno il vitalizio ridotto di una cifra variabile tra l’1 e il 90 per cento ha già presentato ricorso. Ci sono ancora un paio di settimane di tempo per rivolgersi all’organo di giustizia interno della camera dei deputati e i ricorrenti potrebbero aumentare, avvicinandosi alla totalità dei penalizzati – mentre il 5% dei circa 1.400 ex deputati (o superstiti di ex deputati, titolari di assegno di reversibilità) non è stato penalizzato dalla riforma voluta dal presidente della camera Fico. Casomai avrebbe diritto a un aumento, ma in questi (pochi) casi la riforma non si applica.

A decidere sui ricorsi – preparati separatamente dagli avvocati Sorrentino e Sandulli, Paniz, Besostri e Lentini – sarà il Consiglio di giurisdizione della camera, composto da due deputate di maggioranza (M5S e Lega) e uno di minoranza (Pd), cosa che secondo la poco attenta dichiarazione tv di Di Maio tranquillizza la maggioranza: «Hanno la stessa sensibilità di chi ha tagliato i vitalizi». Nei ricorsi in realtà si mette in dubbio la competenza di questo organo di giustizia domestica, visto che la Corte costituzionale ha (nel 2017) ribadito che la cosiddetta «autodichia» vale nei confronti dei dipendenti e non dei «terzi» come gli ex deputati o i loro congiunti. Ma il ricorso «interno» è il primo passaggio – ce ne sarà un altro presso il collegio di appello che ha una composizione politicamente meno blindata – attraverso il quale gli avvocati dei ricorrenti mirano a portare il taglio dei vitalizi alla Corte costituzionale.

Non sarà semplicissimo, proprio perché la camera si è mossa per evitare un tale esito, decidendo il taglio non con una legge ma con una delibera dell’ufficio di presidenza (Fico più vicepresidenti, questori e segretari d’aula) Secondo i legali dei ricorrenti proprio questa è una scelta illegittima, perché per l’articolo 69 della Costituzione «I membri del parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge». Altri motivi di incostituzionalità sono rintracciati nel fatto che il vitalizio non può essere considerato alla stregua di una pensione di anzianità perché è una prerogativa costituzionale (la riforma Fico insieme al taglio ha operato una modifica giuridica dell’istituto) e che il taglio per le sue dimensioni e per il fatto che non produce un vantaggio per la collettività (solo un risparmio per la camera non destinato ad alcuno scopo) non rispetta i criteri stabiliti dalla Consulta di proporzionalità, ragionevolezza e temporaneità. Infine, secondo i ricorrenti, il fatto che il senato non abbi preso (ancora) analoga iniziativa, mette tutti quelli che hanno svolto mandati sia come deputati che come senatori nella singolare circostanza di venire penalizzati solo se il loro ultimo mandato è stato svolto alla camera, perché è l’ultimo ramo del parlamento ad occuparsi della gestione dei vitalizi.

Ma la critica più radicale che i ricorrenti muovono alla delibera riguarda proprio l’applicazione retroattiva del sistema contributivo. Impossibile, dal momento che quel sistema si basa sull’accumulazione anno dopo anno di un montante che per gli ex deputati non c’è mai stato. Anche l’individuazione dei coefficienti di rivalutazione è del tutto arbitraria (l’ha suggerita l’Inps, che però non gestisce i vitalizi); il risultato – si legge nel ricorso collettivo firmato da Sorrentino e Sandulli – «è un sistema pseudo contributivo che non ha nulla a che vedere con la matematica attuariale».

E mentre l’avvocato Besostri racconta che « molti indecisi sulla opportunità di fare ricorso hanno cambiato idea dopo che sono stati pubblicamente definiti dei parassiti» da Di Maio, il presidente della camera Fico dice che «la delibera è salda, ripara una ferita sociale e ha riavvicinato i cittadini alle istituzioni».