«I colori sono il blu delle genziane, il rosso corallo delle androsaci, il verde dei laghi, il giallo dei papaveri che si incontra quando si sale fino alle nevi perenni, ci si vergogna del coraggio che hanno nello sfidare il ghiacciaio e la tempesta, nelle orecchie le zuffe dei torrenti e nel naso il profumo dei pini». Scrivi sempre a mezzanotte è infinita promessa il titolo delle lettere d’amore e desiderio tra due donne, scrittrici e veggenti di prima grandezza: Virginia Woolf e Vita Sackville-West, quelle della prima tradotte da Nadia Fusini e quelle della seconda da Sara De Simone.

Per le cure di Elena Munafò escono ora pubblicate per Donzelli (pp. 302, euro 24) le loro corrispondenze, scrigno di due parole tanto inflazionate quanto mal comprese: amore e desiderio. Stare all’altezza di una risponde, per ogni missiva, allo scaturire dell’altra. E ciascuna si innerva di ulteriori immaginari.

CHI AMA NON DORME, non si aggira tuttavia come lo scorticato di Roland Barthes, ha qui piuttosto le lucide e taglienti fattezze di una donna; bruna, nuda «che pesta i luppoli in un grande tino», un satiro. È la visione che Vita consegna in una delle tante lettere che costellano questa litania generativa che è luogo del possibile proprio perché nominata, quindi già immaginata, fantasticata e scoperta, poi sperimentata insieme. È un tempo lento, alla foga della passione si impone la misura della mancanza di prossimità sperando nel prossimo incontro. Eppure tutto è dettaglio appuntato nelle tasche, al cuore di una esperienza che è sessuale e dei sensi, visibili e invisibili, capaci di spandersi in una devozione adolescente e tirannica per tenere con sé l’oggetto esclusivo che la produce. L’altra parola infatti che rammenda l’impensato è l’esclusività. Virginia è per Vita ciò che la terra è, con i suoi odori e umori, per le vette di un cielo dotato di un’altra atmosfera. A quelle altezze non c’è timore per il possesso, è un avere costante, vorace poiché conquistato e alimentato.

LA RACCOLTA va dal 1924 al 1941 e corrisponde a una selezione inedita tra le oltre 500 lettere che Virginia e Vita cominciano a scambiarsi dal 1922 – si incontrano per la prima volta in dicembre – al 1941 (l’ultima risale a pochi giorni prima della morte di Woolf). Delle 136 (78 a firma di Virginia e 58 di Vita) la parte più consistente è conservata alla Berg Collection della New York Public Library, un numero più esiguo è parte del patrimonio della biblioteca universitaria del Sussex; quattro infine sono state ritrovate solo nel 1994, in un cassetto della scrivania di Vita a Sissinghurst.
È uno scambio da cui si impara molto, anche quando ci si riduce a «cosa che desidera», si resta «creatura carissima». Si apprende poi che l’amore non può essere un’astrazione, è il nido in cui le parole (e i corpi) covano, ciascuna di loro arriva al mondo letteralmente disperata e benedetta. Sia le più esplicite che parlano della relazione tra due donne, sia le meno dirette che sono danza simbolica e grembo di autori, scritture, stesure.

C’è dunque posto per Orlando, La signora Dalloway, Le falene (primo titolo di Le onde), come per Tom Eliot, Dora Carrington, Mary McCarthy, Lytton Strachey e molti altri. Così l’ordito è costruito sapientemente dalla curatrice e dalle due traduttrici, ciascuna palpabile a ogni pagina nel colloquio costante con il testo e l’intenzione che le ha mosse.
E, tra i molti pungoli che bucano le circostanze – a volte minutaglie per darsi un appuntamento o domandarsi la ragione di un ritardo nella risposta dell’altra -, c’è una pazienza cercata, curata come una creatura piccola per non farla morire di fame. É nutrimento primario l’attenzione verso la fragilità che autogoverna chi è amante, invece dell’ingannevole moderazione di più durature, e infelici, relazioni.

IL PUNTO di contatto con la realtà è che questa raccolta, nella sua unicità, si innesta nei grandi epistolari che non appartengono solo a un tempo vicino. Ma raccontano di fili, di mani che percorrono una biblioteca intera e vivente di nomi e gesti da compiere. E hanno il coraggio di dirselo, che baluginare negli occhi silenziosi e indulgenti di chi sa amare, significa esistere – ovvero uscire fuori da sé per fare ritorno. Che questa grazia non sia stata sufficiente per continuare a vivere, per una delle due, è un altro discorso. Si può continuare a lasciare tracce anche dopo che si scompare, in una notte che cerca di sostenere il disastro di essere senza stelle.