«Licenziamento sproporzionato e pertanto illegittimo». È la formula utilizzata ieri dal giudice del Lavoro del tribunale di Nola, Federica Salvatore, per intimare definitivamente alla Fiat il reintegro di Domenico Mignano, licenziato senza giusta causa il 20 novembre del 2007.

L’azienda dovrà anche pagare il danno commisurato alla sua retribuzione (pari a 1.419 euro) dal primo agosto 2011, data del ricorso, al giorno del ritorno effettivo a lavoro. Reintegro che non è in vista poiché il Lingotto ha provveduto a licenziare di nuovo Mignano il mese scorso.

Domenico Mignano era un Rsu del sindacato di base, lavorava al Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. Con l’arrivo dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, lo stabilimento campano è stato etichettato come non produttivo e sottoposto alla nuova filosofia aziendale. Da Torino hanno provato, senza successo, a licenziare Mignano una prima volta il 23 febbraio 2006.

L’anno dopo lo hanno messo alla porta per una manifestazione di 15 minuti nella concessionaria Fiat di corso Meridionale a Napoli. Mignano, insieme a una ventina di persone, aveva esposto nell’atrio striscioni contro la precarietà, raccontando per cinque minuti al megafono la vita dietro i cancelli della Fiat e quali erano le condizioni di sicurezza. Si erano verificati due infortuni, uno a Pomigliano, l’altro a Mirafiori.

Secondo l’azienda, Mignano aveva arrecato un grave danno, rotto il patto fiduciario e offeso i dirigenti. «Ho presentato un video dell’azione in udienza – racconta Mimmo – i legali Fiat sono ammutoliti: le immagini smentivano del tutto la loro versione dei fatti».

Il filmato e i testimoni hanno confermato che i clienti hanno continuato a osservare le auto, mentre gli impiegati lavoravano indisturbati. Nessuna uscita bloccata né denigrazioni o danno di immagine. Era una «manifestazione pacifica, una iniziativa di informazione sulle condizioni in Fiat» recita la sentenza.

Sono sette anni che Mignano ha perso il suo posto di lavoro. E lo ha perso un’altra volta il 24 giugno di quest’anno quando il Lingotto (nell’eventualità vincesse la causa) lo ha licenziato insieme a quattro operai del Wcl, il reparto logistico di Nola mai entrato in funzione. Si sostiene che abbia compiuto «atti macabri, gravissimi e inauditi» quando, il 5 giugno, è stata messa in scena davanti ai cancelli di Nola e della sede Rai di Napoli l’impiccagione di un manichino con la foto di Marchionne sul viso.

«Mi sono rivisto nelle immagini di sette anni fa – prosegue Mignano – ho fatto i capelli bianchi lottando per il mio lavoro. Abbiamo già fatto ricorso contro l’ultimo licenziamento ma certo non staremo con le mani in mano a far passare altri anni in attesa di una nuova sentenza. Marchionne non sopporta che si racconti come si sta nelle sue fabbriche e neppure che si ricordi i tre lavoratori del Wcl che si sono tolti la vita in attesa che il Lingotto desse una missione produttiva a Nola, fermo dal 2008, attraverso una rappresentazione teatrale».

Stamattina, davanti la sede Rai di Napoli, il comitato cassaintegrati e licenziati Fiat terrà una conferenza stampa, il video prodotto in udienza verrà mostrato durante una serie di incontri. «La Fiat utilizza la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per licenziare chi vuole – spiega il segretario generale della Fiom di Napoli, Andrea Amendola – dalla sua ha i migliori avvocati e i tempi lunghi della giustizia, 4/5 anni almeno per una causa di lavoro. Un nostro iscritto, Arcangelo De Falco, ha dovuto attendere un anno e mezzo per essere reintegrato, dopo la sentenza d’appello. E quando non hanno potuto fare altro che riammetterlo, lo hanno spostato dal Vico dove stava al Wcl di Nola, dove sono tutti in cassa integrazione a zero ore».