Sono giovani, con un’età compresa tra i 22 e i 30 anni, per la maggioranza, molti di loro sono migranti, in tanti lavorano in città ma vivono in provincia, alcuni non conoscono l’italiano. Il lavoro di consegna è la loro principale attività, la scarsa conoscenza della lingua produce non solo asimmetrie informative rispetto alle relazioni contrattuali, ma anche un abuso di posizione dominante del datore di lavoro. È il profilo dei 218 ciclo-fattorini delle consegne a domicilio (riders) che lavorano a Milano, emerso dalle interviste brevi contenute nella ricerca curata da Luciano Fasano e Paolo Natale dell’università Statale.

Nonostante la popolazione complessiva dei riders milanesi resti ignota, lo studio delinea il profilo di una flotta composta da giovani maschi istruiti, che lavorano in media più di cinquanta ore settimanali, con situazioni contrattuali atipiche, anche se è scarsa la percezione dell’inquadramento contrattuale da parte dei lavoratori. Questi dati contrastano con quelli forniti dal responsabile delle relazioni esterne di Deliveroo, intervenuto il 5 febbraio scorso durante la presentazione della ricerca alle associazioni di categoria, all’Inps, ai sindacati autonomi e confederali. I suoi numeri si basano sui questionari somministrati dall’azienda ai lavoratori a livello nazionale ogni tre mesi, questionari anonimi solo a parole dal momento che vengono somministrati via mail. Per Deliveroo tre lavoratori su quattro sono italiani, fino a dicembre scorso erano attivi circa 6.500 contratti in tutta Italia, di cui circa 3.500 realmente in corso – poiché Deliveroo applica «contratti di lavoro autonomo a tempo indeterminato», quindi c’è una parte dormiente di rider che può riprendere a lavorare senza il bisogno di rinnovo. Su Milano una flotta di circa 2.500 rider lavora solo per Deliveroo in media tredici ore la settimana per un guadagno di 156 euro, con picchi rilevanti a seconda delle stagioni. Quanto al grado di soddisfazione, si tratta di un dato falsato. Se l’azienda chiede a un campione di lavoratori auto-selezionati, non anonimi, se sono soddisfatti, la risposta non può essere che una.

La ricerca di Fasano e Natale è un punto di partenza per la conoscenza del mondo di questi lavoratori, anche se manca il dato del guadagno, come ha fatto notare il sindacato autonomo Deliverance Milano. Basta frequentare le chat o i gruppi privati sui social per rendersi conto che neanche i fattorini conoscono i meccanismi di pagamento della prestazione. Un altro elemento da considerare è che si tratta soprattutto di lavoratori studenti e non per forza di studenti lavoratori.

Nell’attesa di un provvedimento normativo va sottolineata la mancanza di trasparenza in un settore studiato in lungo e in largo, eppure ancora dai tratti oscuri ai più. Soprattutto ai lavoratori, sottoposti ad un elevato turn over, che alimentano un sistema di acquisizione e uso delle informazioni basato sul controllo delle tecnologie digitali. L’espropriazione di valore della prestazione di lavoro dipende dal loro auto-sfruttamento e dall’inquadramento contrattuale da falsi autonomi. A questo si aggiunge il caos delle condizioni contrattuali, dei meccanismi retributivi e dei riferimenti giuridici, nonostante l’introduzione dei riders nel contratto collettivo della logistica. «Una giungla» l’ha definita un fattorino in un intervento. Sarebbe necessario un approfondimento sull’organizzazione del management, le strategie manageriali, la cultura aziendale, l’analisi dei bilanci. E poi le condizioni materiali dei lavoratori, la qualità del lavoro, l’analisi del dispositivo che favorisce l’estrazione di valore dalla prestazione. È chiaro che non bastano brevi interviste per svelare questi aspetti. Solo un’inchiesta approfondita, indipendente, può chiarire punti cruciali per la comprensione di questo micro-cosmo. Nonostante la visibilità mediatica e i questionari propinati dalle imprese, malgrado i big-data elaborati senza sosta e gli studi che, a prescindere dalla qualità e dai committenti, vengono sfornati, l’universo dei rider resta ancora oscuro. Come quando c’è un’alluvione, la prima cosa che manca è l’acqua potabile.