Con le prime luci dell’alba sulla Piana di Gioia Tauro i caporali iniziano il giro e con cadenza regolare si accostano a caricare i braccianti che passeranno il resto della giornata nei campi a raccogliere le arance. Quelli che non rientrano in questo giro si sono organizzati con delle vecchie biciclette, alcune troppo piccole per loro ma indispensabili per coprire i 10 o 20 chilometri che ogni mattina devono percorrere per arrivare al campo. La paga di 4 o 5 euro l’ora è troppo bassa per comprarne una nuova, così come gli accessori. Ogni spesa extra rispetto al cibo va a finire nei money transfer che fanno arrivare i soldi alle famiglie nei Paesi d’origine.

Per arrivare in tempo al lavoro con la bicicletta bisogna partire prima dell’alba e nelle strade buie che percorrono l’interno della Piana camion e macchine fanno fatica a vedere le centinaia di biciclette che corrono lungo i bordi delle strade. Tra chi tornava dal lavoro la sera del 18 dicembre c’era Bassama Gora, originario del Senegal e investito da una macchina nei pressi di Gioia Tauro. L’automobilista dopo l’incidente non si è fermato e ora è accusato di omicidio stradale e omissione di soccorso.

«Abbiamo comprato luci e braccialetti catarifrangenti da mettere sulle bici e sulle braccia, è l’unico modo per rendersi visibili e non essere investiti» racconta Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope, progetto della Fcei, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, a sostegno dei migranti.

Lui e altri operatori ogni pomeriggio si posizionano lungo le strade per distribuire gli accessori che possono garantire la sicurezza dei migranti durante gli spostamenti.

I BRACCIANTI PER QUESTA stagione di raccolta sono di più rispetto agli anni precedenti. In 1.600 sono arrivati in Calabria per cercare lavoro. Il periodo in cui la Calabria è stata zona rossa ha messo in difficoltà i braccianti perché non potevano uscire dai ghetti nei quali vivono. Questo vuol dire non poter inviare i soldi alle famiglie e il problema potrebbe ripresentarsi durante le feste di Natale: solo i pochi che hanno un contratto potranno recarsi al lavoro nei giorni in cui tutta Italia sarà zona rossa.

Chi offre un presidio sanitario ai braccianti è Medu, che con la clinica mobile si sposta fuori dai campi e offre sia assistenza medica che legale. «Molti di loro avevano la tessera sanitaria scaduta e quindi non potevano accedere ai servizi sanitari. Passando tutto il giorno nei campi è complicato per loro rinnovare i documenti» racconta Ilaria Zambelli, responsabile per il progetto di Medu.

DI NOTTE L’UMIDITÀ nei campi gela le ossa e anche una semplice influenza in questo momento può destare allarme nei container o nelle tende sovraffollate. Nella tendopoli di San Ferdinando sono stipati come sardine e per diminuire il numero di persone dentro le tende, i braccianti hanno iniziato a costruire delle baracche.

Tra gli oltre 600 braccianti che vivono nella tendopoli c’è Badu, un ragazzo maliano che da quasi 10 anni è in Italia. «Ho fatto il bracciante nei primi anni, lavoravo a Rosarno, a Foggia e a Saluzzo. Poi ho trovato lavoro in fabbrica a Pordenone ma con il Covid l’azienda è andata in crisi e quando è scaduto il contratto non me lo hanno rinnovato. Sono tornato qua, è l’unico lavoro possibile in questo momento» racconta mentre in bicicletta torna alla tendopoli.

Tra gli ex braccianti che sono riusciti a trovare un’alternativa c’è Ibrahim Diabate, ivoriano che oggi lavora come mediatore culturale di Mediterranean Hope. Vive a Rosarno da anni e in questi mesi sta gestendo un progetto insieme al comune e a Medu per fare tamponi rapidi per il Covid alla cittadinanza di Rosarno. «Abbiamo iniziato il 3 dicembre e la risposta è stata ottima» racconta Diabate.

Dopo uno screening ai dipendenti comunali e al personale scolastico la possibilità di fare il tampone è stata allargata a tutti. «Abbiamo comprato 1.000 tamponi e stiamo raccogliendo i fondi per prenderne altri e continuare questo lavoro nei prossimi mesi» dice Ilaria Zambelli..

Ad appena 67 chilometri da questa realtà c’è un piccolo comune che sembra essere un altro pianeta rispetto a Rosarno, soprattutto perché non sono solo giovani uomini che lavorano nei campi ma famiglie che hanno accesso all’accoglienza.

CAMINI È ACCANTO alla più famosa Riace e la cooperativa Jungi Mundu dal 2011 si occupa di accoglienza. Nel centro storico del paese ci sono 350 abitanti e 100 di questi sono richiedenti asilo o rifugiati.

«Abbiamo recuperato un paese che stava cadendo a pezzi» racconta Rosario Zunzolo, presidente di Jungi Mundi. «Quando ero piccolo questa parte era disabitata e nessuno ci voleva vivere, così abbiamo iniziato a sistemare le case e ad accogliere le persone. Abbiamo iniziato con 15 e oggi possiamo ospitarne fino a 118» aggiunge Rosario. 

Non solo accoglienza ma anche e soprattutto laboratori. Sartoria, agricoltura, edilizia, cucina e tessitura sono le attività alle quali i beneficiari e tutti i cittadini di Camini possono accedere. «Siamo partiti lo scorso dicembre e abbiamo già prodotto tappeti, borse, sciarpe e altro» racconta Girolamo che lavora con un telaio antico insieme a diverse donne. Un vero e proprio sistema che ha creato servizi in uno dei tanti comuni calabresi che stava sparendo. Chi ha scelto di fermarsi qui è Filmon, arrivato dall’Eritrea nel settembre 2013. Nel suo Paese coltivava e allevava galline, oggi ha creato un piccolo allevamento, lavora nell’edilizia e ha 3 figli, tutti nati a Camini. «Stiamo ristrutturando le case perché tante persone hanno comprato nel centro storico negli ultimi anni. Quando sono arrivato era un altro paese, oggi è molto più bello» chiosa Filmon.