Il Calderon di Pasolini è un testo percorso da una forte, dolce e violenta visualità, un teatro che nasce da una dinamica cinematografica, ma anche dalla natura pittorica del mondo pasoliniano (memore delle lezioni di Roberto Longhi), reimmaginando La Vida es sueño di Calderón de la Barca, in una Spagna irretita nella dittatura franchista, e che rimanda alla spinta di rivolta contro tutti i poteri alla vigilia del ’68. Questa dinamica visuale, che si interseca con una straordinaria dinamica attoriale, è il punto di forza della messinscena di Teatri Uniti, con la regia di Francesco Saponaro, frutto di una residenza teatrale all’Università della Calabria, con cui lo spettacolo è coprodotto.Nel testo c’è il riferimento a un quadro ‘simbolo’ della riflessione sulla rappresentazione del potere, Las Meninas di Velazquez (su cui Pasolini apre uno dei suoi film più emozionanti degli stessi anni, Che cosa sono le nuvole, dove non a caso Totò dice a Ninetto: «siamo come un sogno dentro un sogno»). Incontrando Saponaro, e lo scenografo dello spettacolo Lino Fiorito parliamo proprio della scena-polittico, una ‘camera ottica’ in movimento, con porte, pareti, fori entro cui scorrono i disegni mobili e appaiono filmati i simulacri del potere (le altere Dona Lupe e Dona Astrea, rese con tagliente lucidità da Anna Buonaiuto, e i sovrani in uniforme regale). È il Palazzo dei Sogni, ma anche il bordello-fogna, il salotto borghese, il lager, dove Rosaura si sveglia continuamente in un sogno diverso. Dice Fiorito: «Nel preparare la scena ho disposto tutti i disegni che scorrono nelle ‘finestre’ sceniche su un unico foglio 50×70 come fosse il luogo della mente di Rosaura. I ‘quadri ciechi’ della scena sono come buchi neri che si accendono di visioni dell’inconscio e i disegni a grafite sono ispirati, certo, a Las Meninas: le tre principesse, lo specchio, i ventagli etc… ma anche ad altre immagini di Velazquez come la suora, o di Picasso come la donna che si lava i piedi. Ho inventato anche figure animali: un coniglio che scappa, in associazione con Alice nel paese delle meraviglie, scimmie, cani, pecore, cervi… ». Nel testo appunto si dice che ogni reietto della Storia è come «candido animale che dona la sua bontà in pasto alla voracità del nulla». Mi racconta Saponaro che nel lavoro con le due giovani attrici (Laila Fernandez e Clio Cipolletta, vibranti e sferzanti) ha pensato proprio alle ‘metamorfosi animali’ che spesso ci visitano nei sogni. Regista e scenografo immaginano: «un intrico di linee entro cui si intessono le forze, i vettori, le interferenze, una ragnatela che è trappola, prigione, ma anche nido, scrigno, torre di difesa, involucro generativo, in un continuo dibattito tra il sentirsi protetti e la fuga» Sensazione tipica della mente nel sogno, mi conferma Fiorito: «immagini che scorrono nella testa di Rosaura, e infatti ho disegnato anche degli occhi, che ripetono, come una panoramica continua, i punti di vista. Se scorriamo sul foglio dei disegni con l’occhio di una cinepresa si ha un piano sequenza, come un rullo che non finisce mai, come un grado zero dell’animazione. Non c’è mai un momento di cesura, è un flusso dinamico che fa precipitare un disegno in un altro, una trasformazione continua. La scena è un reticolo di prospettive». Nota Saponaro: «La disposizione delle aperture, delle porte, delle finestre, degli specchi corrispondono esattamente a quelle del quadro barocco». Infatti ognuno dei molti personaggi del testo è un aspetto del corpo-anima di Pasolini. Non solo le figure femminili (l’ «aura rosa» e la sorella-specchio), l’adolescente ribelle Pablito/Enrique (Luigi Bignone), il medico e il prete(Francesco Cordella), ma perfino Sigismondo e Basilio (il militante antifranchista e il grande/piccolo borghese, cui Andrea Renzi conferisce due registri recitativi diversi, l’uno accorato, l’altro ambiguo). Fiorito, che è anche pittore (una sua mostra Buchi Neri si inaugura il 15 febbraio all’Istituto di Studi Filosofici di Napoli) mi parla di «buchi neri, da cui emergono le visioni come da un precipizio cieco, da un vortice che trascina una quantità di immagini. C’è la teoria di un fisico secondo cui i buchi neri non sono solo degli attrattori ma dei punti di passaggio nella formazione di altri universi, e al centro dei disegni si generano proprio dei buchi neri come oscuri soli o lune». Continua Saponaro : «La drammaturgia investe questa scatola-reticolo, la tela del sogno che si forma, si sprigiona dal quadro di Velazquez, come scriveva Maria Zambrano, laddove Pasolini entra nel corpo del quadro e noi entriamo nel corpo (e nell’anima) di Pasolini. L’autore che guarda fuori dal quadro essendo dentro il quadro». Ciò che prende forma è proprio una meditazione (sulla scorta del Velazquez di Foucault, a sua volta letto e amato da Pasolini) sui corpi assoggettati dai dispositivi di potere, e sulle vie di fuga e liberazione. Anche nel disegno finale del Lager, per cui, dice Fiorito «c’è un riferimento ai disastri della guerra di Goya: due montagne di corpi accatastati, una panoramica incorporata nel segno stesso», che poi si dischiude nel ‘sogno’ più bello: lo sventolio di bandiere rosse (filmate come un pezzo di Angelopoulos), che invadono le stradine di Rende, cittadina in Calabria che sembra un luogo andaluso.