Forti dei successi militari in Libia in sostegno dei loro alleati di Tripoli, i turchi passano ora all’incasso. È questo il motivo della visita non programmata di ieri di una loro nutrita delegazione capitanata dal ministro degli esteri Cavusoglu nella capitale libica.

Una visita importante: getta le fondamenta per la presenza duratura di Ankara nel Paese nordafricano. Al centro dell’incontro con gli alleati del Governo di accordo nazionale (Gna) del premier al-Sarraj, c’erano gli sviluppi della guerra contro l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar e il rilancio delle relazioni economiche, in particolar modo il ritorno delle aziende turche in Libia e la cooperazione nel settore energetico.

L’aiuto al Gna – fondamentale per ribaltare gli eventi bellici – sarà scambiato da Tripoli con una forma di vassallaggio al “sultano” Erdogan. La Turchia ha già fatto capire che occuperà due basi in Libia: quella di al-Watiya (vicino al confine tunisino) e nel porto di Misurata.

A pagare il prezzo del dominio turco sul dossier libico è anche Roma: Cavusoglu doveva incontrare il suo pari Di Maio proprio ieri. Ma poi ha preferito Tripoli, lasciando il titolare della Farnesina in stand by fino a domani. Agli italiani i libici del Gna chiedono «aiuti» per bonificare la zona sud di Tripoli e Tarhuna dalle mine che, sostiene il governo di al-Sarraj, gli uomini di Haftar hanno disseminato durante le loro ritirate degli ultimi due mesi in Tripolitania.

Una missione importante dal punto di vista umanitario (le mine hanno ucciso almeno 39 persone), ma che dà l’idea del peso politico di Roma nel suo “cortile di casa”. La Turchia detta le regole e ha forza addirittura per controbattere alla Francia, alleata di Ankara nella Nato, che l’aveva accusata di svolgere un ruolo «aggressivo» in Libia.

Cavusoglu ha ieri ribattuto che Parigi «esacerba la crisi libica» sostenendo Haftar («persona illegittima»). Il generale è sempre più screditato internazionalmente anche per i presunti crimini di guerra commessi dai suoi uomini. Non bastavano le otto fosse comuni ritrovate la scorsa settimana a Tarhuna, martedì anche Human Rights Watch ha accusato l’Enl di aver commesso torture, esecuzioni extragiudiziali e vilipendio dei cadaveri dei nemici.

Haftar è ormai sempre più debole e ad approfittarne è la Turchia che vorrebbe che a rappresentare i rivali della Cirenaica fosse Aguilah Saleh, il presidente del parlamento dell’est di Tobruk. «Haftar è un dittatore fallito, non l’abbiamo mai riconosciuto come un legittimo attore», ha spiegato al portale Middle East Eye l’inviato speciale presidenziale turco Emrullah Isler.

Una buona notizia dalla Libia è giunta però due giorni fa: l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) e il Programma alimentare mondiale (Pam) hanno detto che stanno collaborando a un progetto che dovrebbe raggiungere quest’anno con cibo d’emergenza fino a 10mila rifugiati che vivono nell’insicurezza alimentare. Troppo poco, eppur qualcosa in un Paese alla deriva.