Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati, dal suo osservatorio come giudica le polemiche suscitate in Italia dal parere della commissione Europea contro il blocco dei licenziamenti?
È vero che l’Italia è l’unico paese dove è ancora in vigore il blocco dei licenziamenti ma è altrettanto vero che in moltissimi paesi europei c’è il vincolo a non licenziare se si utilizzano gli ammortizzatori e, soprattutto, in paesi come la Francia, la Germania, il Belgio e altri gli ammortizzatori sono già stati prolungati fino alla fine del 2021 e probabilmente saranno allungati nel 2022 e – secondo aspetto – gli ammortizzatori sociali in questi paesi coprono tutti i lavoratori, anche autonomi e precari, e il tasso di sostituzione salariale è molto più alto che in Italia: in Belgio ad esempio autonomi e atipici prendono dai 1.800 a 2.000 euro al mese da inizio della pandemia. Stiamo confrontando mele e patate.

Luca Visentini, segretario generale della Ces

Quindi il parere della commissione europea, concentrandosi su una sola misura, è errato?
Diciamoci la verità: il blocco dei licenziamenti in Italia è un elemento compensativo di un sistema che fa acqua da tutte le parti perché non copre tutti i lavoratori. Quindi l’argomento della commissione Europea è proprio sbagliato come principio perché loro dicono: «La tutela dai licenziamenti tutela i lavoratori a tempo indeterminato e discrimina gli altri». Ma in realtà quello che discrimina in Italia è il fatto che gli ammortizzatori coprono solo una parte dei lavoratori e anche quelli che sono coperti lo sono solo parzialmente e non c’è una proroga sufficientemente lunga per scavallare la crisi. È chiaro che il blocco dei licenziamenti è stato un elemento compensativo di una situazione frammentata. Un compromesso in un equilibrio precario nel quale se togli un pezzo crolla tutto il tavolo. In Europa ci sono 40 milioni di lavoratori che ora usano gli ammortizzatori. Togliendo gli aiuti, la disoccupazione è quasi certa. Perdendone solo la metà il tasso di disoccupazione europea raddoppierebbe. Sarebbe un disastro: non si riuscirebbe a recuperare nemmeno con 7 mila miliardi, non i 750 usati ora.

Come si spiega un giudizio così sbagliato da parte della commissione europea?
È la conseguenza di un conflitto latente ma sempre più evidente all’interno della commissione tra l’ex Task force per la ripresa economica – trasformata in una direzione generale – che è infestata da «Troika men», dai vecchi burocrati dell’era Barroso che si sono riciclati ma continuano a portare avanti le stesse politiche; e dall’altra parte Gentiloni e il lussemburghese Schmit – entrambi socialdemocratici – che invece spingono in direzione opposta. In questo scontro vengono fuori queste stupide «osservazioni» che non sono neanche più «raccomandazioni» da quando è stato sospeso il Patto di stabilità. Ma hanno tentato di infilare questa storia dei licenziamenti dentro la valutazione del piano nazionale di Recovery.

Si va verso una tassazione comune contro i giganti multinazionali, verso una politica fiscale e bancaria comune. Il fondo Sure poteva essere l’inizio di una armonizzazione dei sistemi di ammortizzatori europei?
Non abbiamo perso la speranza. Sure è finanziato da Eurobond: su 100 miliardi ci sono state richieste per 200. Ci sono due problemi: trasformare Sure come fondo permanente – e anche qua c’è lo stesso scontro di cui parlavo prima – ma poi devi garantire ai paesi che il rimborso lo fa la commissione nel 2026, sennò rischi che alcuni paesi non lo usino perché hanno paura di creare debito e i paesi frugali sono contrari perché li considerano Fiscal transfert.

È lampante che in Italia autonomi e precari non hanno ammortizzatori degni di questo nome. Il fondo Sure potrebbe aiutare la riforma universalistica chiesta da Cgil, Cisl e Uil e che il ministro Orlando presenterà a breve?
Sure può essere usato per rimborsare ammortizzatori per autonomi e precari. E quindi possono essere utilizzati per la riforma del ministro Orlando che può utilizzare anche i fondi del Recovery plan perché si tratta di una riforma strutturale. Il problema, anche in Germania, è che i lavoratori autonomi non contribuiscono alla spesa per ammortizzatori: serve trovare una modalità, anche se chiaramente possono contribuire di meno. In Francia e Belgio il sistema assicurativo è già universale. In Polonia agli autonomi ora si garantisce anche il salario minimo legale.

In Italia c’è grande dibattito sul ruolo delle parti sociali su Recovery plan e uscita dalla pandemia. In Europa come va?
Il dialogo sociale è istituzionalizzato nei trattati e quindi siamo stati coinvolti in tutte le fasi. A livello nazionale invece la situazione non è positiva: c’è un problema in Italia ma c’è ovunque, in Ungheria il dialogo è assente. Stiamo insistendo con la commissione che deve mettere delle condizionalità positive per garantire la dimensione sociale nella definizione dei piani.