Dopo mesi di ufficiale silenzio sugli avvenimenti in Ucraina, il gruppo dei Paesi di Visegrad, ossia la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Slovacchia, si è espresso sulla situazione del proprio dirimpettaio. Il 29 gennaio, hanno preso parola i quattro premier rilasciando una chiara dichiarazione politica sulla situazione in Ucraina.

Nel comunicato congiunto i quattro premier fanno appello a tutte gli attori dello scontro in corso, affinché prendano su di sé la responsabilità storica di costruire un’Ucraina «stabile, democratica e unita». Il comunicato ha una linea molto vicina alle posizioni della Polonia, il socio più importante del gruppo, espresse da recente dal premier Donald Tusk. «L’Ucraina come un ricco e pacifico vicino è necessaria per la nostra sicurezza – sottolineava Donald Tusk – Un’Ucraina divisa da lotte intestine potrebbe invece essere prima o poi un pericolo per tutta l’area». Il gruppo quindi boccia con forza ogni velleità di scindere l’attuale Ucraina in due entità statali. Tuttavia la posizione dei singoli Paesi verso il movimento di protesta non è univoco.

L’appoggio più caldo è arrivato senz’altro dalla Polonia, i cui massimi esponenti, premier Tusk compreso, hanno avuto diversi contatti telefonici con i leader dell’opposizione in piazza. Un approccio meno impegnato è stato invece scelto dalla Repubblica ceca, dalla Slovacchia e dall’Ungheria, che pur condannando le violenze delle forze dell’ordine ucraine, hanno evitato con accuratezza di essere appiattite sul fronte pro-opposizione, richiamando i leader anti-Yanukovich a usare ogni possibilità di dialogo per risolvere l’attuale situazione di stallo.

Gli avvenimenti in Ucraina rafforzano ulteriormente la sensazione, che il centro-est Europa sia diventata di nuovo uno scacchiere di confronto tra diverse potenze mondiali. Nel giorno, in cui i premier del gruppo di Visegrad rilasciavano il loro statement sull’Ucraina, il New York Times ha pubblicato un articolo, secondo cui la Casa Bianca ha informato i suoi alleati della Nato su un presunto lancio da parte della Russia di un missile a medio raggio in violazione del Trattato sull’eliminazione delle armi nucleari a medio raggio.

Tuttavia dal 2006, è stato proprio quando gli Usa manifestarono l’interesse di installare alcune loro basi del sistema antimissile in Repubblica Ceca e in Polonia, che nell’area sono tornate le ombre ben note ai tempi della Guerra fredda. Sebbene l’amministrazione Obama abbia ridimensionato il piano antimissile di Bush, la costruzione del sistema è continuata con dispiegamento dei sistemi antimissile su unità navali e armando la Polonia con nuove batterie Patriot. La dirigenza russa ritiene, che questi sistemi minino l’equilibrio tattico e strategico tra le due potenze nuclearie, e ha risposto spostando nella regione di Kaliningrad numerose batterie di missili Iskander con un raggio di azione di 500 km, e quindi capaci di colpire le nuove istallazioni contraeree.

Oltre a queste scaramucce vintage, nel centro Europa ci si sta chiedendo quale strategia adottare nei confronti della Russia, che sotto Putin si è notevolmente rinvigorita. Se all’inizio del secolo si puntava tutto sulla Nato e sull’Unione Europea, oggi queste speranze sono notevolmente ridimensionate. L’amministrazione Obama ha fatto capire ai suoi alleati dell’area, che le sue priorità nella politica estera sono altrove, nei vari scenari dell’Asia.

Dall’altra parte le élite locali non credono che l’Ue possa reggere con la Russia il confronto diplomatico e militare. Inoltre in passato la Germania ha dimostrato, che preferisce mettersi d’accordo direttamente con l’orso russo piuttosto che condurre lunghe trattative con i rissosi statarelli dell’area, i cui politici seguono spesso logiche incomprensibili.

A questo mutamento di scenario i dirigenti locali hanno reagito in diversi modi. La Polonia ha puntato su una stretta alleanza militare con gli Stati Uniti, che si declina anche su piani fuori dalla Nato e su una maggiore integrazione economica con l’Unione Europea con l’entrata in Eurozona. Come sottolinea l’ex presidente polacco Kwasniewski, «la Polonia deve diventare uno dei motori dell’integrazione europea visto che il tandem franco-tedesco appare in difficoltà». Un’ambizione, che tra i vicini è spesso giudicata come una vuota grandeur dei polacchi. Ormai tra i politici e gli uomini d’affari dell’Est sta prevalendo l’opinione, che sia necessario trovare un modus vivendi sul piano commerciale e politico con il grande vicino, e che si debba contare soprattutto sulle proprie forze nazionali. Di questa volontà di autarchia a geometrie variabili sul piano internazionale è figlia anche la rinascita nucleare, sostenuta dai russi, che avviene nell’area a partire da Budapest.

Così le diversità nel rapporto con la Russia si riflettono anche sull’atteggiamento del gruppo di Visegrad verso l’Ucraina. I Paesi del Gruppo hanno trovato l’accordo (e i mezzi) sul solo rafforzamento dei scambi scolastici e universitari con l’Ucraina. Noccioline rispetto ai miliardi di dollari che Mosca ha concesso come prestito e sconto a Kiev. E data la restrizione del bilancio comunitario neppure l’Ue può promettere grandi cose a un Paese, che dovrà affrontare una difficile ristrutturazione industriale. Insomma per molti Paesi dall’Est i sogni europei sono finiti. E i soldi da Bruxelles pure.