A Renzi che dichiara che il Pd «non sarà più il partito delle tasse», Vincenzo Visco più volte ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi di centrosinistra, ricorda che «la sinistra è a favore di un welfare e lo vuole finanziare, la destra ne farebbe volentieri a meno». Quanto ai tagli annunciati, l’economista e presidente del Centro studi Nens teme non ci sia più nulla da tagliare: «Il nostro livello di spesa primaria è il secondo più basso in Europa». Su Padoan è tranchant: «Si è sempre appiattito in modo sconcertante su qualsiasi proposta di Palazzo Chigi».

Professore, con la legge di stabilità tornano puntuali le tensioni tra Via XX Settembre e Palazzo Chigi?

Finora il ministro dell’Economia Padoan si è sempre appiattito in maniera sconcertante su qualsiasi proposta di Palazzo Chigi. Questa volta che dimostra quasi di esistere la considero una cosa positiva. Il problema è che Renzi è un uomo solo al comando e per lui il governo non esiste.

Nel merito chi ha ragione?

In teoria potrebbe anche avere ragione Renzi quando cerca di sfuggire alla cappa terribile imposta dalla politica economica europea: che è sbagliata, di un’austerità ridicola. Il problema, però, è che nessuno lo può fare da solo. E, in particolare, non lo può fare l’Italia, il vero malato d’Europa, sia dal punto di vista finanziario, sia per i bassi tassi di crescita. Con il debito pubblico che abbiamo, se dall’Europa non c’è un cambio di rotta noi rischiamo molto.

Intanto però, Renzi alza lo scontro con l’Europa.

Io non credo che Renzi abbia la volontà, ma soprattutto la forza di andare realmente allo scontro con l’Europa e dire che l’Italia fa per conto suo. Penso, però, che questo dovrebbe preoccupare a livello istituzionale, per il prestigio del Paese all’estero. Tutto questo si intreccia con gli sviluppi sulla riforma istituzionale del Senato. Renzi pensa che approvando anche questa riforma potrà portare a Bruxelles lo scalpo degli oppositori. Ma non è quello che serve. Per il percorso di rientro del deficit abbiamo già ottenuto uno 0,4% di flessibilità e adesso, rispetto a quanto già concordato, possiamo contare su un ulteriore 0,1%.

In realtà il premier ha già fatto capire di contare su una maggiore flessibilità.

È chiaro. Significa che lui vuole restare sotto il 3% di rapporto deficit/Pil, ma ben sopra l’1,8% previsto per l’anno prossimo. L’obiettivo è politico, ed è quello di vincere le elezioni amministrative del prossimo anno, una storia già vista con gli 80 euro.

Non è una contraddizione far salire il livello dello scontro con l’Europa e pretendere nel contempo più flessibilità?

Rientra nel gioco delle parti, ma rischia di essere solo autolesionista. Temo che le aperture che la cancelliera Merkel ha mostrato sul tema dell’immigrazione (“diamo una mano all’Italia”, ndr), preludano, dall’altra parte, a un atteggiamento inflessibile proprio sul rigore dei conti pubblici. D’altronde, già un anno fa scrissi che non dovevamo chiedere nessuna deroga, nessun decimale di flessibilità, ma rispettare tutti i patti e fare i primi della classe. Dovevamo, invece, nel semestre italiano, porre formalmente il tema di una politica economica europea profondamente sbagliata e da cambiare. Probabilmente, anche tutto questo movimento anti europeista avrebbe preso un indirizzo più serio.

Tornando alle tasse, è equo tagliare quelle sulla prima casa a tutti?

La sinistra ha sempre pensato che bisognasse tassare più i ricchi che i poveri, quindi più il patrimonio che il reddito. La casa è la componente più rilevante del patrimonio posseduto dalla famiglia in tutto il mondo, non solo in Italia. Quindi tassare la casa significa tassare il patrimonio, tassare il patrimonio vuol dire tassare i ricchi. Non è un caso che i patrimoni, comprese le case, siano molto più concentrati tra chi ha un alto reddito. Togliere la tassa sulla prima casa è una misura che non riguarda i poveri o chi vive in una casa in affitto. Inoltre, c’è un problema non da poco.

Quale?

Non è detto che uno che ha una seconda casa sia più ricco di uno che ha solo la prima casa. Il più delle volte, la seconda, è quella del paesino d’origine. Un approccio sbagliato in cui ha creduto anche la sinistra in questi anni. Inoltre, è evidente che la prima casa di un operaio che vive alla periferia di Milano può costare 150-200 mila euro, mentre la Villa di Arcore 20-30 milioni. È una cosa folle che vengano trattate tutte e due allo stesso modo. Questa è la strategia di Berlusconi. Ma il problema è che non ho mai visto al mondo un partito politico che si mette a dare ragione al proprio avversario su una cosa sbagliata.

Da dove si dovrebbe partire secondo lei per abbassare il carico fiscale?

Se non riparte la crescita, l’unica cosa che è possibile fare è una seria politica di redistribuzione. Ma per fare questo bisogna far pagare gli evasori.

L’evasione fiscale dall’agenda del governo sembra completamente sparita.

Questione di volontà. Io l’ho combattuta due volte e senza neanche troppa fatica. Anche su questo c’è un qualunquismo italico disarmante. Quando le tasse le pagano solo i lavoratori dipendenti, sono tutti tranquilli. Il problema è il rapporto degli italiani con la legalità, perché l’evasione fiscale si lega alla mafia, alla corruzione.

Renzi ha detto che “il Pd non è più il partito delle tasse”. Cosa intendeva?

Mi pare una cosa priva di senso. In Inghilterra ai tempi di Blair i conservatori lo accusavano di essere un esponente del partito delle tasse. Lo stesso in America, dove i repubblicani accusano i democratici di essere un partito tax and spend. È una cosa ovvia: la sinistra è a favore di un welfare e lo vuole finanziare, la destra ne farebbe volentieri a meno.

La convince la proposta di una flat tax di cui discutono le destre?

È una misura già ampiamente sconfitta dalla storia e di cui si è discusso per anni senza arrivare a nulla. È stata adottata solo in qualche paese ex-comunista dove non esisteva un vero e proprio sistema fiscale e dove l’hanno improvvisata sulle linee della destra Thatcher-reaganiana.

Crede sia stato un errore aver votato misure come il pareggio di bilancio in Costituzione e il Fiscal Compact?

In un contesto federale, con un bilancio e una politica federali, sarebbe una soluzione ragionevole. In assenza di questo è stata chiaramente una fuga in avanti.

Ci sono margini per ulteriori tagli della spesa?

Da due anni la spesa cresce meno del Pil. Oggi il nostro livello di spesa primaria, al netto di interessi e pensioni, è il secondo più basso in Europa. Va bene risparmiare, ma non c’è più molto da tagliare.

Mentre dalla lotta all’evasione quante risorse potrebbero arrivare?

Come dice il Rapporto sull’evasione fiscale elaborato dal Centro studi Nens, si possono recuperare 60, 70 miliardi.