Sono già stati ribattezzati i «Visco files». Le 4mila pagine con cui il governatore in scadenza Ignazio Visco si difende dalle accuse di Renzi e renziani sono al vaglio dei tecnici della commissione d’inchiesta sulle banche. Il loro è un lavoro improbo: dovranno classificare ogni documento decidendo – come da indicazioni della stessa Bankitalia – quali considerare da «secretare» prima di fornire le chiavette Usb ai 40 membri della commissione – e solo a loro. Membri che saranno tenuti a mantenere il segreto sul contenuto di questi documenti per non rischiare reati penali. Il tutto avverrà non prima della prossima settimana.
Al momento dunque solo Bankitalia e – in modo sommario – il presidente Pier Ferdinando Casini più i vice Renato Brunetta e il renziano Mauro Marino sono a conoscenza del contenuto del dossier. Qualcosa comunque è trapelato. Specie sulla motivazioni e sul perché Visco abbia deciso di «scendere in campo». Prima di farlo infatti il governatore avrebbe ricevuto il «via libera» direttamente dal Quirinale: Mattarella ha avallato la scelta in considerazione delle conseguenze che la mossa avrà sulla partita della nomina del nuovo (vecchio) governatore che spetta in ultima analisi proprio al presidente della Repubblica.
In quest’ottica la posizione di Ignazio Visco da mercoledì sera è molto più forte. Fino alla strampalata mozione renziana contro di lui, il governatore non aveva alcuna intenzione di essere ascoltato in commissione banche, sebbene stesse preparando assieme ai più fidati collaboratori l’elenco dei documenti. Ora sfrutterà la commissione per difendersi e mettere in difficoltà Renzi e i renziani. Ed è per questo che Casini ha descritto Visco «tonico e determinato» al termine dell’incontro di mercoledì.
Come logico che sia i documenti più scottanti sono quelli riguardanti Banca Etruria. Se i ritardi e le «timidezze» della Vigilanza nel denunciare lo stato fallimentare dell’istituto di cui Pier Luigi Boschi era vicepresidente sono evidenti e comprovati, i documenti che Visco ha consegnato alla commissione dimostrano come sia stata la politica – e in parte la Consob – ad aver atteso di prendere la decisione più importante e che solo il governo poteva prendere: «porre in risoluzione» la banca. E qui bastano le date per dimostrare come Bankitalia si fosse mossa già nel 2014: il 2 novembre Pier Luigi Boschi fu multato per 144mila euro per «violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza». Banca Etruria fu poi commissariata l’11 febbraio del 2015.
Mentre il governo guidato da Matteo Renzi e con Maria Elena Boschi ministro attese a lungo – il 22 novembre 2015 – per la messa in risoluzione di Banca Etruria assieme a Banca Marche, Carife e CariChieti. Durante quei nove mesi il Giglio magico renziano e la stessa Boschi cercarono una soluzione meno traumatica per Banca Etruria, come raccontato – mai smentito o querelato – nel libro di Ferruccio De Bortoli che chiama in causa la testimonianza dell’allora ad di Unicredit Federico Ghizzoni.
Ieri intanto è andata avanti la polemica sulla visita di Visco in commissione. Il M5s contesta di non aver saputo dell’incontro e l’assenza dei segretari (Zeller e Tosato della Lega) prevista invece dal regolamento. L’altra parte della polemica è sui documenti secretati: «la prerogativa spetta alla commissione, deve essere allargata ai rappresentanti dei gruppi», sostengono.
Il calendario della commissione ad oggi prevede che il primo esponente di Bankitalia sia il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo il 2 novembre, mentre i renziani annunciano di voler sentire anche il vice di Visco – e papabile alla sostituzione – Fabio Panetta. L’attuale governatore non verrà ascoltato prima di metà novembre. Quando potrebbe già essere stato riconfermato.
Sempre ieri un gruppo di una trentina di economisti – tra cui spiccano Filippo Cavazzuti, Maurizio Franzini, Marcello Messori, Giorgio Lunghini e Nicola Rossi – hanno sottoscritto un appello che chiede «al presidente della Repubblica e al presidente del consiglio di non assecondare l’irrituale mozione», «valutano pericolo il tentativo di politicizzare le nomine di una istituzione» e «reputano quanto meno infondato  attribuire responsabilità alla Banca d’Italia per la mala gestione di alcuni istituti di credito».