Le politiche di deficit spending annunciate in campagna elettorale sono state bocciate dal governatore della Banca d’Italia Ignazione Visco in un discorso tenuto ieri al congresso dell’Assiom Forex. L’uso elettorale della disobbedienza alla disciplina fiscale imposta ai conti italiani non piace al banchiere centrale che invia a Berlusconi e Di Maio, ma anche a tutti gli altri promettitori elettorali, un messaggio chiaro: il vangelo delle «riforme» va difeso a ogni costo perché è la premessa della «crescita».

QUELLA ITALIANA (1,5% quest’anno, 1,2 nel 2019, e diminuirà successivamente) è la più bassa d’Europa. Anche in questo caso le cause di questa «crescita» non vengono spiegate: questo è l’esito forse delle politiche monetarie «accomodanti» della Bce di Draghi, ad esempio? Probabile, a sentire l’intervento di Visco. E poi che tipo di crescita è quella in corso? Nessun riferimento alla sua natura disguale, parziale, fortemente dipendente dalle esportazioni, bassa o insufficiente quella da domanda interna.

LA «CRESCITA» avrebbe un legame diretto con le «riforme» che hanno precarizzato il lavoro (Jobs Act e legge Poletti sui contratti a termine «acausali») e allungato drasticamente l’età pensionabile (legge Fornero). Visco, come la batteria di istituzioni nazionali e internazionali che dichiarano abitualmente sulla presunta virtù di queste «riforme», non specificano i iloro contenuti, né si sofferma sulle altre che dal 4 marzo dovranno seguire. Si tratta in ogni caso di interventi funzionali a politiche di taglio del costo del lavoro, e di negazione dei diritti sociali, di una forza lavoro concepita in maniera del tutto subalterna alla domanda delle imprese. La rotta, sostiene Bankitalia, dovrà restare la stessa. Senza evocare uscite dai «vincoli del patto di stabilità». «Un aumento del disavanzo pubblico non può sostituirsi alle riforme, rischierebbe di essere controproducente, visto che il problema del debito non può essere eluso».

VISCO SOSTIENE che il possibile allentamento dell’alluvione monetaria proveniente dalla Bce non dovrebbe avere conseguenze sulla «crescita». Per Visco, Draghi non lo azzererà del tutto. Anche perché ha il problema dell’inflazione (ancora) troppo bassa rispetto a quel quasi 2% previsto dal mandato Bce. «Non è della normalizzazione della politica monetaria che ci si deve preoccupare, ma della credibilità e dell’efficacia delle riforme e del processo di riduzione dell’incidenza del debito sul prodotto» ha detto.

DAL 4 MARZO la politica economica è segnata. Non si può uscire dai binari, bisogna restare in quelli tracciati dalle «riforme»: basso costo del lavoro, alta precarietà, intensificazione del (poco) lavoro esistente per più anni. E poi aggredire il debito pubblico, il sacro Graal. Al ministro dell’economia Padoan, intervenuto all’Assiom Forex, le parole di Visco sulla necessità di «non lasciare dubbi sui conti» sono suonate familiari. Padoan sostiene che è quello che sta facendo e siè poi lanciato in previsioni a dir poco ottimistiche. Ha parlato di una crescita addirittura al 2%, mentre le previsioni la danno in netto calo. Questa possibilità è contemplata dal candidato del Pd, ma va tutto bene. Bisogna solo attivare la leva degli investimenti pubblici. Solo.

IL CICLO «è destinato ad indebolirsi» riconosce Padoan che tuttavia invoca la virtù teologale della «pazienza». Il suo sentiero stretto, dice, è destinato ad «allargarsi». E ha concluso con un appello elettorale a non credere alle politiche della «fatina blu». A tre settimane dal voto questo è lo stato della politica economica. Ma sono in molti ad avere perso la pazienza.