Il coronavirus cambia l’ordine del giorno del vertice tra Recep Tayyip Erdogan e i leader di Francia, Germania e Gran Bretagna. Convocato inizialmente per discutere della nuova crisi dei migranti scatenata da Ankara con la decisione di aprire le frontiere a migliaia di profughi, il summit ha affrontato i rischi che la pandemia che ha già chiuso le frontiere esterne dell’Unione europea può comportare per i cittadini turchi in Europa e per i migranti. «I leader – ha spiegato in serata una nota diffusa da Londra – hanno concordato sulla necessità di un’azione multilaterale concertata per sostenere la risposta globale all’emergenza sanitaria e mitigare l’impatto del coronavirus sull’economia».

Da ieri la Turchia ha cominciato a riportare in patria 3.640 suoi cittadini che si trovano per motivi di studio o per turismo in nove Stati nel Vecchio continente e che verranno messi in quarantena per quattordici giorni a Istanbul e Kocaeli nel nord-ovest del Paese. A oggi la Turchia ha registrato solo 47 casi di contagio e nessun decesso e il governo ha decretato numerose misure restrittive alla libertà di circolazione e all’apertura dei locali, oltre ad aver deciso la chiusura di scuole e università e vietato le preghiere collettive nelle moschee.

Per i migranti, invece, nei giorni scorsi le autorità avevano annunciato controlli sanitari a uomini, donne e bambini che si trovano alla frontiera con la Grecia per prevenire i rischi di possibili contagi. Ma seppure in videoconferenza, come impongono i tempi, con il presidente turco Angela Merkel, Emmanuel Macron e Boris Johnson avrebbero voluto parlare soprattutto del futuro dell’accordo siglato nel 2016 con Ankara per fermare i migranti e dichiarato «morto» da Erdogan. I quattro leader si sono trovati d’accordo nel «condannare il regime di Damasco e i suoi sostenitori» ritenendoli responsabili della «crisi umanitaria» dei profughi e degli sfollati siriani, ma questa sarebbe stata l’unica concessione fatta a Erdogan.

Sulla carta il vertice doveva servire a spianare la strada al nuovo incontro fissato per il 26 marzo tra Erdogan e i leader europei. Nessun passo in avanti sarebbe però stato fatto, rischiando così di far risultare inutile l’appuntamento. Il rappresentante della diplomazia Ue, Josep Borrell, sta lavorando con l’omologo turco Mevlüt Cavusoglu alla ricerca di un compromesso che, al momento, appare sempre più difficile da raggiungere. In ballo non ci sono infatti solo i soldi in più che Ankara chiede in aggiunta ai sei miliardi di euro già stanziati con l’accordo del 2016. Bruxelles potrebbe infatti trovare un accordo tra i 500 milioni di euro di cui si è parlato nelle scorse settimane e il miliardo e più che chiede la Turchia. E sebbene contro voglia, alla fine sarebbe anche pronta a pagare pur di scongiurare una nuova crisi che potrebbe essere più grave di quella vista cinque anni fa.

A rendere tutto più difficile sono le richieste politiche avanzate da Erdogan che a Bruxelles continua a chiedere il rispetto delle promesse fatte nel 2016 quando, pur di chiudere la rotta balcanica e mettere fine al viaggio di centinaia di migliaia di profughi verso il nord Europa, gli era stata fatta intravvedere la possibilità di abolire i visti per i cittadini turchi consentendo loro una maggiore e più facile libertà di circolazione in Europa. Promessa che i leader europei, molti dei quali contrari all’idea di avere rapporti più stretti con Ankara, avevano di fatto accantonato fino a quando Erdogan non ha cominciato a giocare pesante aprendo le frontiere. E che invece ora torna prepotentemente di attualità.