Sono solo tre, ma contano per 163. Anzi per 163 milioni. Anzi, un po’ di più: sono Jeff Bezos, Bill Gates e Warren Buffett, i tre miliardari americani che hanno un patrimonio pari a quello della metà della popolazione americana messa insieme, ovvero circa 350 miliardi di dollari.

È quella che l’Institute for Policy Studies ha definito la Billionaire Bonanza del 2020 perché la ricchezza dei tre paperoni è aumentata in maniera spettacolare proprio nei primi quattro mesi dell’anno, nelle stesse settimane in cui 38 milioni di americani perdevano il lavoro.

Bezos, il 15 aprile scorso, era più ricco di 25 miliardi di dollari rispetto al 1 gennaio 2020. Giusto per avere un’idea, si tratta di poco meno del prodotto interno lordo dell’Estonia (e per Bezos si tratta giusto dell’aumento, non del patrimonio complessivo, che alle 5 del pomeriggio di giovedì era 147,7 miliardi di dollari).

Le cifre fanno girare la testa ma possiamo fare qualche paragone: un lavoratore medio americano con uno stipendio di 40mila dollari l’anno dovrebbe lavorare un milione di anni (senza aumenti) per arrivare alla metà del patrimonio di Warren Buffett, il fondatore dei supermercati Walmart. O, se volete, un milione di lavoratori americani dovrebbe lavorare un anno per avvicinarsi a metà del peculio di Warren Buffett (avvicinarsi, perché negli stessi 12 mesi Buffett sarebbe diventato sostanzialmente più ricco).

In realtà, gli operai e impiegati che in febbraio portavano a casa uno stipendio lordo di circa 3mila dollari al mese, sono stati gettati sul lastrico dal diffondersi dell’epidemia: secondo Jerome Powell, il presidente della Fed, la banca centrale americana, il 40% di loro ha perso il posto.

Da metà marzo a oggi 38 milioni di americani hanno chiesto l’indennità di disoccupazione ma quelli che hanno perso il lavoro sono probabilmente molti di più perché autonomi e freelance o migranti impiegati in nero non figurano in queste statistiche.

Ma torniamo ai nostri miliardari: l’Institute for Policy Studies ha calcolato che fra il primo gennaio e il 10 aprile scorso i primi 170 di loro hanno messo in cassaforte 434 miliardi in più, con i fondatori di Amazon e di Facebook a fare la parte del leone. Prevedibilmente Eric Yuan, il padrone di Zoom, ha profittato largamente del successo della piattaforma di videoconferenze che ormai tutti usano anche in Italia.

Gran parte del merito di questa corsa all’oro va ai piani di salvataggio varati in gran fretta dal Congresso in aprile, distribuendo miliardi di dollari come noccioline, ma le radici delle fortune dei ricchi americani stanno semplicemente nell’aver comprato, 40 anni fa, l’intero sistema politico del paese.

A partire dall’elezione di Reagan nel 1980 il carico fiscale dei milionari è progressivamente diminuito e, l’anno scorso, era il 79% in meno di quanto sarebbe stato se le aliquote e le esenzioni fiscali fossero state quelle del 1980.

Il grosso del lavoro è stato fatto dai presidenti repubblicani: Reagan, poi Bush figlio e infine Trump, ma in questi 40 anni i democratici sono stati per 16 anni alla Casa Bianca e non hanno saputo o voluto invertire la tendenza.

Non solo. In gennaio e febbraio partecipavano alle primarie per la candidatura democratica alle elezioni presidenziali ben due supermiliionari: Michael Bloomberg e Tom Steyer, che tra loro hanno speso 1,2 miliardi per inseguire le loro bizzarre ambizioni politiche. La nomination è poi andata allo scialbo Joe Biden, perfetto rappresentante del sistema che ha creato i miliardari di cui sopra.

La maggioranza degli americani, nei sondaggi, è favorevole a idee come quelle della senatrice Elizabeth Warren che ha proposto una tassa patrimoniale del 2% annuo sui patrimoni superiori ai 50 milioni di dollari, che salirebbe al 3% per quelli superiori a un miliardo.

Si noti che i patrimoni di queste dimensioni rendono più del 3% annuo, quindi la ricchezza dei vari Bezos, Gates, Buffett e Zuckerberg non diminuirebbe neppure se la tassa fosse effettivamente istituita.

Perfino i sostenitori di Trump sono d’accordo nel fare qualcosa per moderare l’oscena disuguaglianza che caratterizza gli Usa di oggi, ma il sistema politico nel suo complesso da questo orecchio non ci sente.