Non potrebbero essere più diverse di come sono, ma è proprio a loro due che oggi il M5S si affida. Virginia Raggi, candidata sindaco a Roma, e Chiara Appendino, in corsa per la poltrona di primo cittadino a Torino. Tutte e due rappresentano una spina nel fianco del Pd, partito che nelle rispettive città per anni hanno pungolato dai banchi dell’opposizione. Ma questo è forse l’unico tratto comune che hanno. Per il resto, infatti, Virginia e Chiara sono due gemelle diverse, un po’ come Danny De Vito e Arnold Schwarzenegger.

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Fedelissima di Grillo la prima, al punto di aver dichiarato (salvo poi smentire) di essere pronta a dimettersi da sindaco nel caso il leader glielo chiedesse. Autonoma da ogni forma di leadership pentastellata la seconda, tanto da aver già detto di voler rispondere solo ai torinesi nel caso dovesse farcela. La prima ha alle spalle una marea di polemiche per un tirocinio da avvocato presso lo studio Previti. La seconda è una bocconiana che – per storia personale ma soprattutto per le cose che propone – piace alla sinistra, tanto da rappresentare una vera tentazione in caso di ballottaggio con l’attuale sindaco Piero Fassino.
Virginia è presenzialista, spesso è sulle prime pagine dei giornali e spesso anche per proposte a dir poco bizzarre, come quella degli assessori a tempo o della funivia che, in caso di vittoria, ha promesso di realizzare tra Casalotti e Boccea. Chiara preferisce invece lavorare sottotraccia, ma negli anni a Torino è riuscita a lasciare il segno in molte realtà del sociale. Certo, Torino non è Roma, ma sia la capitale che il capoluogo torinese rappresentano le due sfide più importanti per il M5S, le uniche dove colpire e magari affondare il Pd potrebbe consentirgli di puntare molto più in alto. «Prenderemo il governo di Roma, poi quello del paese, questo è il nostro obiettivo», ha detto venerdì sera la Raggi chiudendo al campagna elettorale in piazza del Popolo a Roma. Vero, ma è anche vero che, per quanto improbabile, una brutta sorpresa nella capitale potrebbe aprire una crepa difficilmente sanabile per il movimento di Grillo. E Torino – dove l’Appendino ha scelto la gente dei mercati per il suo appello finale – rappresenta un obiettivo solo leggermente più piccolo in quanto a importanza della competizione.
Nonostante il silenzio elettorale, ieri Virginia Raggi ha partecipato al festival dell’economia di Trento dove è stata invitata da Tito Boeri per parlare di periferie. Non era l’unica candidata. Oltre a lei, insieme ai sindaci di Verona Flavio Tosi e di Ascoli Piceno Guido Castelli, c’era infatti anche Fassino. «Parliamo lunedì, qui appena dico una parola…» ha scherzato con i cronisti che cercavano di strapparle qualche dichiarazione.
Gira voce che a Trento la Raggi sia andata anche per prendere contatti con economisti ed esperti utili per un’eventuale futura giunta. E in effetti un paio di incontri ci sarebbero anche stati. Ma la sua partecipazione all’evento aveva sollevato più di una polemica prima ancora di cominciare. «Ma di quali periferie va a parlare, di quelle della Luna?», aveva ironizzato il Pd Roberto Giachetti. Va detto che da parte sua la grillina aveva inanellato l’ennesima dichiarazione stravagante quando, alla vigilia dell’incontro, aveva affermato che non avrebbe fatto campagna elettorale ma parlato di periferie. Frase infelice, con cui Matteo Orfini aveva subito polemizzato. «La Raggi ha fatto un’affermazione rivelatrice di quel che pensa», aveva commentato il presidente del Pd. «Evidentemente non considera il tema delle periferie qualcosa di cui il sindaco si deve occupare».
A pensarci bene Virginia e Chiara una cosa in comune ce l’hanno: una profezia che le accompagna nella loro corsa alla poltrona di sindaco. L’Appendino quella di Fassino, che dopo aver detto molti anni fa a Grillo di farsi un suo partito se voleva fare politica il 13 maggio del 2015, durante la discussione del bilancio comunale, disse alla grillina: «Mi auguro che un giorno si segga su questa sedia e poi vediamo cosa sa fare».
Per la Raggi valgono invece le parole dette venerdì da Grillo: «Dicono che se la mangiano con un boccone, ma con quel suo visino dolce Virginia è una macchina infernale». Sperando per lei che la macchina in questione non sia come la «gioiosa macchina da guerra» che nel 1994 fece perdere le elezioni al Pds di Achille Occhetto.