Anticipato settimana scorsa da un prologo alle Corderie dell’Arsenale in concomitanza con l’apertura della Biennale di Architettura, il 9° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia, diretto dal coreografo Virgilio Sieni, ha tutte le premesse per reinventare il tradizionale rapporto tra spettatori e performance. Si aprirà ufficialmente il 19 giugno e basta una scorsa al fittissimo calendario di proposte per immaginarsi, anche solo sulla carta, una diversificazione di percorsi possibili e personali tra campi, teatri, spazi teatrali: una città che danza da scoprire in dieci giorni, fino al 29 giugno, con un epilogo nei primi tre weekend di luglio dedicato al Vangelo secondo Matteo a firma dello stesso Sieni.

30 artisti per 42 spettacoli di cui 28 in prima mondiale e 9 in prima nazionale con nomi che vanno da Saburo Teshigawara a Enzo Cosimi, da Jérome Bel a Raffaella Giordano e Maria Muñoz, da Meg Stuart a un maestro assoluto del postmodern come Steve Paxton, che riceverà il Leone d’Oro alla carriera. Un progetto unico nel suo genere, di cui discutiamo le linee guida con il direttore Sieni.

Luogo, corpo, comunità, come motore di un’idea di festival che ha coinvolto fortemente gli artisti invitati: come ti immagini il ruolo del pubblico?

Mi piace pensare alla capacità che l’uomo ha di risorgere al corpo: ho coinvolto artisti disposti a creare un continuum di eventi, riflessioni, incontri distribuiti in vari spazi per un’idea geografica di festival nel quale il pubblico si muova come fosse in un bosco, andando a individuare i propri sentieri. Perdersi nella ricerca per ritrovarsi sperimentando un’idea di corpo molto ampia che spazia dalla cerimonia e dal rito di Keiin Yoshimura, portavoce della tradizione coreutica giapponese, ad artisti come Jérome Bel. Mi piace pensare a uno spettatore non legato all’idea di festival come evento mondano, piuttosto a uno spettatore che recuperi il senso di essere sulla soglia del rito, attraverso lavori che riescano a donare risonanza nel legame all’ambiente.

In apertura, giovedì 19, troveremo un maestro come Saburo Teshigawara in prima assoluta con “Lines” al teatro Malibran, ma non sarà l’unica occasione per vederlo. A Teshigawara come ad altri coreografi del tuo programma hai affidato anche dei progetti legati alla pittura nella sezione del festival chiamata Aura.

Sì. A cinque coreografi già ospiti del festival con loro creazioni, Saburo Teshigawara, Laurent Chétouane, Jonathan Burrows con Matteo Fargion, Jérôme Bel e Michele Di Stefano ho chiesto di sviluppare anche delle performance inedite a partire da un dettaglio su opere d’arte del passato presenti a Venezia. Ho proposto un centinaio di opere, ognuno di loro ha scelto la sua preferita. Sarà una rivisitazione personale del sapore di una città, approfondire un dettaglio di una pittura apre una serie di radure e di camminamenti immaginari dalla pièce coreografica all’opera pittorica, che è presente a pochi passi. Un lavoro sulla natura del territorio come metafora del mondo.

Come già l’anno scorso, un’attenzione particolare viene dedicata alle giovanissime generazioni di danzatori, con la sezione «Vita Nova» con creazioni tue, di Cristina Rizzo, Adriana Borriello

Destinare a bambini coreografi contemporanei con cui lavorare è un’esperienza importante che va stimolata. Non esiste una scuola nazionale riservata a questo aspetto e voglio dare un segno per invogliare, coinvolgere istituzioni in un percorso che ha bisogno di una durata nel tempo. I titoli per i bambini fanno parte del progetto Biennale College, come anche la sezione Agorà: altre creazioni che nascono da perlustrazioni dei campi veneziani e che offrono la possibilità di lavorare in uno spazio aperto, in una dimensione diversa dalle altre tipologie di città e di metropoli. Uno spazio dove combinare la filosofia orientale del vuoto con l’idea di elevazione, di verticalità che appartiene al mondo occidentale. I coreografi Di Stefano, Cristina Rizzo, Iris Erez, Anton Lachky, David Zambrano guideranno i danzatori selezionati per il progetto Biennale College in creazioni ispirate a questi temi.

Sabato 21 verranno consegnati a Steve Paxton il Leone d’Oro alla carriera e a Michele Di Stefano il Leone d’Argento per l’innovazione: in che relazione con il festival sono le due scelte?

Il lavoro di Steve Paxton, così intimo, segreto, eppure così capillare, aiuta a dare la chiave di lettura del festival. La sua ricerca ha aperto la danza non tanto a un incrocio di tecniche e codici quanto a una visione molto ampia dell’essere con il corpo. Con Michele Di Stefano lo studio non si rivolge più tanto alla dimensione fisica, ma a un linguaggio in cui il corpo è in costante relazione con la geografia. Mi piace la presenza nei Leoni di un italiano giovane e innovativo come Di Stefano insieme a un maestro come Steve Paxton, fondamentale nella danza eppure marginale rispetto a una visione mondana degli eventi artistici.

L’epilogo del festival sarà a luglio, in tre fine settimana a partire dal 4, con il tuo «Vangelo secondo Matteo», 27 quadri con circa 200 interpreti provenienti da più regioni d’Italia al Teatro alle Tese.

I 27 quadri verrannopresentati a gruppi di 9, ogni weekend. Azioni coreografiche a cui partecipano danzatori, anziani, madri e figli, gente comune che ricostruiscono quadri creati in varie regioni italiane, un lavoro di un anno che vuole portare a Venezia un concetto di frequentazione non usuale, per il quale il pubblico potrà girare da un quadro all’altro, costruendosi, ancora una volta, il proprio filo drammaturgico.

Programma su: www.labiennale.org