Si sono presentati spontaneamente in procura, quattro poliziotti appartenenti al Reparto mobile lanciato sulle strade di Genova, il 23 maggio scorso, contro i manifestanti antifascisti che protestavano per il comizio elettorale di CasaPound e accanitosi poi – «per sbaglio», stando alla versione ufficiale – contro il giornalista di Repubblica Stefano Origone. Due di loro avrebbero ammesso di aver colpito l’uomo inerme mentre altri due avrebbero «solo» assistito (senza intervenire) alla scena.

MA IL PROCURATORE capo di Genova Francesco Cozzi e la pm Gabriella Dotto, titolare del fascicolo aperto all’indomani dei fatti di piazza Corvetto, erano già sulle tracce dei responsabili (sotto la lente ci sarebbero anche altri due agenti) del pestaggio che non ha comportato conseguenze più gravi per il cronista solo grazie all’intervento di un poliziotto suo amico, Giampiero Bove, che lo ha difeso facendogli scudo con il proprio corpo, come ha raccontato lo stesso Origone agli inquirenti e ieri anche sulle pagine del suo quotidiano. «”Sono un giornalista, sono un giornalista”. L’ho gridato subito, mentre i poliziotti mi venivano incontro alzando i manganelli», scrive Origone che ha una costola rotta ed è stato operato per le fratture alla mano.

ANCHE SE il riconoscimento dei responsabili è molto difficile, non essendo gli agenti forniti di numero identificativo come in altri Paesi democratici, la procura ha potuto individuare almeno il numero di poliziotti che si sono accaniti violentemente sul cronista. Grazie anche alla testimonianza di Bove, all’analisi delle riprese video della Digos, all’interrogatorio come persona informata sui fatti del funzionario Stefano Perrià, che coordinava la squadra alla quale appartengono i sette poliziotti che si sono diretti verso Origone, e alla collaborazione «dei dirigenti della mobile e della Digos Marco Calì e Francesco Borré», come ha riferito ieri lo stesso procuratore capo.

Cozzi si è compiaciuto per l’«ampia collaborazione dei dirigenti della polizia» e ha auspicato che «anche tra i manifestanti che si sono resi protagonisti di comportamenti violenti vi sia un comportamento analogo e vogliano venire a spiegare i motivi delle loro condotte». Nelle prossime ore comunque dovrebbero essere ascoltati anche altri dirigenti tra i quali Giovanni Giuliano, responsabile del servizio di ordine pubblico.

IL PROCURATORE capo ha poi spiegato che nella violenza di gruppo su un innocuo cittadino steso a terra, da parte di una squadra addetta all’ordine pubblico, non esiste una responsabilità collettiva: andrà attribuita «un’identità a ogni condotta», visto che Origone «ha ricevuto prima un colpo di manganello, poi un calcio, poi altri colpi mentre era a terra». Il pm ha però precisato che «le indagini potrebbero anche essere estese ad altri comportamenti analoghi» tenuti durante la stessa manifestazione.

SE NON FINIRÀ nell’impunità come in altre occasioni, se il senso di giustizia prevarrà sullo spirito di corpo, questa volta lo si deve più all’imprinting dell’attuale capo della polizia, Franco Gabrielli, che ad un ipotetico ordine venuto dal Viminale. Scrive Stefano Origone concludendo il suo racconto: «Mi ha chiamato il presidente della Camera, Roberto Fico, ma non il ministro dell’Interno Matteo Salvini».

E forse lo si deve anche al questore di Genova Vincenzo Ciarambino, che tutto avrebbe voluto tranne questa gatta da pelare appena due mesi dopo la sua nomina. Malgrado abbia tentato a caldo di sminuire la gravità di quanto accaduto, parlando di «azione di alleggerimento in una fase convulsa, mentre i poliziotti stavano arrestando una persona e una ventina di manifestanti stavano scendendo una scalinata per andare a liberare l’ostaggio», Ciarambino si è però recato subito a trovare Origone scusandosi con il cronista.

Ma, come ha detto il procuratore Cozzi, l’atto è grave «a prescindere che fosse o meno riconoscibile come giornalista».