Sono stati in sei, ieri, a sostenere l’interrogatorio di garanzia con il gip Sergio Enea, 32 in totale gli indagati già sentiti sui 52 destinatari di misure di garanzia (8 sono in carcere, 18 ai domiciliari, 3 con obbligo di dimora) per l’inchiesta sui pestaggi ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 6 aprile 2020. La maggior parte ha scelto di non rispondere, alcuni hanno reso dichiarazioni spontanee. Per adesso sono due le tesi difensive: «Le modalità di intervento sono state decise dai miei superiori» ma c’è chi ha scaricato la responsabilità sugli agenti arrivati a supporto da Secondigliano, agenti che non è stato possibile identificare perché col viso coperto e ignoti ai detenuti. I 52 sono stati sospesi dal servizio: il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha disposto la misura martedì scorso, solo dopo i provvedimenti del gip. Sospese da venerdì ulteriori 25 persone, ancora sotto indagine. Per oltre un anno sono rimasti tutti al loro posto di lavoro.

FRANCESCO BASENTINI, direttore del Dap all’epoca dei fatti (dimessosi poi ai primi di maggio), al Corriere ha spiegato: «La relazione mandata al Dap è del 26 aprile, prima non ero mai stato informato di quanto avvenuto nelle sezioni». E ancora: «A settembre sono stato interrogato dai magistrati come persona informata dei fatti. Se avessi avuto informazioni su quello che era successo non avrei esitato a disporre provvedimenti cautelari a carico dei responsabili». Almeno dal 26 aprile i fatti stavano venendo fuori ma nessun provvedimento venne preso. A giugno 2020 arrivarono anche gli avvisi di garanzia e ancora nessun provvedimento. Lo scorso ottobre, nella replica dell’allora ministro della Giustizia Bonafede all’interpellanza di Riccardo Magi di +Europa Radicali, si legge: «Con nota 3 luglio 2020, il locale provveditore ha trasmesso al Dap l’elenco del personale nei confronti del quale è stata data formale comunicazione dell’avvio di procedimento penale da parte della procura di S. M. Capua Vetere». Anche allora nulla. Perché sia preoccupante lo spiegano gli atti.

LE MISURE CAUTELARI sono state adottate perché c’è «il concreto pericolo che gli indagati commettano ancora delitti della stessa specie di quelli per cui si procede» ossia torture, maltrattamenti, lesioni, falso, calunnia, favoreggiamento, frode processuale e depistaggio. «L’attività di indagine ha consentito di disvelare un uso diffuso della violenza – scrive il gip – intesa da molti ufficiali e agenti di polizia penitenziaria come l’unico espediente efficace per ottenere la completa obbedienza dei detenuti, tesi inaccettabile in uno stato di diritto». E ancora: «Che la violenza costituisca con tutta probabilità una costante nel rapporto fra gli indagati e i detenuti lo si evince dai filmati di videosorveglianza. Si nota che gli agenti in modo del tutto naturale compiono dei gesti quasi “rituali”, come nel caso in cui si dispongono a formare un “corridoio umano” tutte le volte in cui i detenuti si apprestano a transitare e cominciano a picchiarli con estrema violenza, sebbene inermi».

IL 5 APRILE I DETENUTI avevano protestato temendo il diffondersi del Covid. L’azione era terminata pacificamente. Nelle chat viene fuori «l’assoluta insofferenza di un numero significativo di agenti e ufficiali rispetto al metodo del dialogo che si stava utilizzando con i detenuti in rivolta, tanto da mettere anche in dubbio le capacità di comando». Pasquale Colucci, comandante del nucleo traduzioni e piantonamenti, scrive la notte tra il 5 e il 6: «Il personale di smcv è molto deluso. Si sono raccolti per contestare il comandante».

POI ARRIVA LA DECISIONE di effettuare «la perquisizione» e il tono dei messaggi cambia: «Spero che pigliano tante di quelle mazzate che domani li devono trova tutti ammalati». Ad azione terminata: «Aho ci siano rifatti. 350 passati e ripassati». Il gip scrive: «I pestaggi sono stati pianificati con modalità tale da impedire ai detenuti di conoscere i propri aggressori. Le vittime erano costrette a comminare con la testa rivolta al suolo e nella sala della socialità erano posti con la faccia al muro, mentre venivano picchiati da tergo».

I VERTICI (come il comandante della polizia penitenziaria, Manganelli, e la comandante del Nic di Napoli, Francesca Acerra) hanno contribuito a confezionare falsi documenti e depistaggi. «A seguito del disvelamento dell’indagine – si legge negli atti – si è assistito a una deprimente quanto incessante attività di manipolazione». I filmati della videosorveglianza hanno ripreso solo una parte di quanto accaduto. Uno degli agenti in chat: «Mi hanno potuto vedere che tiravo qualche pugno con le chiavi in testa a D’Avino (un detenuto ndr)». Il collega: «Ma il lato tuo non ci stanno le telecamere». E il primo: «Eh là bravo, quelle già non ci stavano, è là che feci un buco in testa a D’Avino e a quegli altri due».