Almeno su una cosa siamo come tutti gli altri in Europa: il numero di violenze compiute in Italia dagli uomini contro le donne è in linea con quello di Paesi più «evoluti» come Spagna, Gran Bretagna o Austria. Fine delle somiglianze, anche se non c’è niente di cui vantarsi. Per quanto riguarda infatti il resto, che siano piani di prevenzione contro le violenze di genere, protezione delle vittime, interventi delle forze dell’ordine per reprimere e di psicologi per curare il partner o l’ex diventato aggressore, siamo anni luce distanti rispetto a molti paesi, e questo vale in modo particolare per il femminicidio. E’ come se qui da noi fossimo ancora negli anni ’70 o ’80: le richieste di parità da parte delle donne fanno ancora paura e provocano reazioni violente, mentre in altri Paesi si vive nel 2013. In Spagna, dove una certa cultura machista di certo non è finita in soffitta, sono più avanti noi, tanto che dal 2004 c’è un reato specifico sulle violenze di genere ed esiste un Osservatorio che raccoglie dati su aggressioni e femminicidi. Strumento fondamentale per monitorare e studiare la violenza tra le mura domestiche ma che in Italia, a distanza di nove anni dalla Spagna, ancora non esiste. «In Italia i dati sui casi di donne uccise dal proprio partner o ex partner li raccogliamo noi come Casa delle donne basandoci sulle notizie pubblicate dai giornali» spiega Angela Romanin, formatrice della Casa delle donne di Bologna. «Di un Osservatorio gestito dal ministero degli Interni, che ai dati sulle morti incroci i dati criminologici, purtroppo ancora non se ne parla. Questo succede perché da noi fino a oggi non si è considerato seriamente il problema».

Poche denunce

A questo punto, prima di proseguire, è importante fare una precisazione. Per violenza di genere, all’interno di una relazione di intimità, si intendono tutti quegli atti di diversa natura – fisica, psicologica, sessuale, economica o sociale – che si verificano spesso in maniera ripetuta all’interno di una coppia, al punto da creare situazioni di dominio e sudditanza di un partner sull’altro. Inferni quotidiani vissuti spesso in solitudine, e che altrettanto spesso degenerano con la morte della donna. Una delle poche indagini comparate, condotta sulla prevalenza del fenomeno, è stata pubblicata nel 2008 dall’Istituto europeo per la prevenzione e il controllo della criminalità «Heuni» l’International violence against women survey che ha coinvolto 5 Paesi europei, tra cui anche l’Italia, e ha permesso di stabilire come le donne che hanno subito violenza fisica o sessuale da un partner presente o passato nell’arco della loro vita variano da un decimo a più di un terzo di tutte coloro che hanno avuto un partner. «In Italia, secondo i dati dell’Istat, che ha partecipato all’indagine europea, 2 milioni 938 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner attuale o precedente», ricorda Giuditta Creazzo, ricercatrice e socia della Casa delle donne di Bologna. Un dato che rischia però di non spiegare fino in fondo la gravità del fenomeno, come spiega Romanin. «Sempre l’Istat ci dice infatti che soltanto dal 4 al 9% delle donne colpite dalla violenza sporge denuncia. E questo range, che è bassissimo, dipende dal tipo di reato e dall’autore. Per essere chiari: si denuncia di più uno stupro fatto da uno sconosciuto piuttosto che dal proprio partner, nonostante i partner siano responsabili di circa il 70% degli stupri».

Un’aggravante

Il decreto contro il femminicidio che ieri ha cominciato il suo iter alla Camera, sebbene criticato da alcune associazioni di donne che si occupano di violenza di genere per la sua frammentarietà e per la mancanza di finanziamenti adeguati per un piano strutturale, rappresenta comunque uno dei primi passi verso una legislazione che colpisca in maniera più decisa il fenomeno. Ma, come si è detto, siano ancora lontani dal resto dell’Unione europea, sia dal punto di vista dell’approccio culturale al fenomeno, che dell’intervento legislativo. Secondo uno studio condotto nel 2010 sono 18 i Paesi della Ue che hanno adottato normative specifiche che riguardano atti di violenza consumati in un contesto domestico o familiare. «In dieci di questi le violenze nelle relazioni di intimità sono previste come una fattispecie specifica di reato – prosegue Giuditta Creazzo -. Soltanto in Spagna e in Svezia tuttavia si utilizza il concetto di “violenza di genere” come concetto giuridico. Negli altri Paesi si parla di violenza in famiglia, violenza domestica o violenza nelle relazioni di intimità. In altri dieci Paesi, infine, fra cui Francia e Spagna, la relazione di intimità rappresenta una circostanza aggravante del reato». In Austria una legge contro le violenze di genere esiste dal 1997, anno in cui in ogni regione venne istituito anche un centro di intervento. Si tratta di istituzioni pubbliche che riuniscono e coordinano sia i tribunali che i centri di ascolto per uomini violenti e quelli per la protezione delle donne. Dagli anni ’70 (venti prima che in Italia), invece, esistono le case rifugio per donne maltrattate. Finanziate dallo Stato possono contare su 478 posti letto, un numero abbastanza vicino allo standard europeo che prevede un posto nucleo (mamma più uno o due bambini) ogni 10mila abitanti (in Italia siamo circa la 6% della copertura). Quando viene segnalata una violenza la polizia può applicare subito l’ordine di protezione allontanando l’uomo dall’abitazione. Alla donna viene chiesto se vuole essere seguita da un centro antiviolenza, mente l’aggressore viene invitato a seguire un trattamento psicologico, parallelo a quello giudiziario.

Processi veloci

Una novità importane è costituita invece in Gran Bretagna dalle Marac, Multy-agency risk assessmen conferences, incontri territoriali durante i quali si condividono le informazioni sui casi più ad alto rischio, che si calcola siano circa il 10% del totale. Vi fanno parte rappresentanti della polizia locale, del tribunale, dei servizi di accoglienza e protezione dell’infanzia, dei servizi sanitari e da un Indipendent domestic violence advisor (Idva), una consulente specializzata nei casi di violenza domestica. Si riuniscono ogni settimana o quindici giorni, a seconda delle necessità, e stilano un piano di protezione mirato sulle esigenze della vittima, che viene attivato solo dopo aver avuto il suo consenso. Condizione fondamentale, visto che alla base dell’intervento c’è sempre l’incolumità della donna. Dal 2002 esistono inoltre tribunali specializzati nei casi di violenza domestica che usufruiscono della collaborazione di un’operatrice dei centri antiviolenza. Nel 2011 ne esistevano 140, con ingressi separati per vittime e aggressori. Prevista, infine, una corsia preferenziale per accelerare al massimo i tempi del giudizio. Tribunali specializzati esistono anche in Spagna, dove però l’intervento dello Stato, possibile anche grazie al lavoro fatto dall’Osservatorio sui casi di violenza di genere, punta soprattutto a interventi di più ampio raggio che prevedono il sostegno delle vittime attraverso misure sociali, economiche, lavorative e sanitarie, la sensibilizzazione culturale degli uomini – oltre che la repressione – e un piano per la lotta al machismo. In caso di denuncia l’uomo viene inviato a un centro di trattamento, mentre la donna viene invitata a prendere contatto con un centro antiviolenza. E’ previsto inoltre l’impiego di braccialetti elettronici per controllare gli spostamenti dell’uomo, e di Gps per le donne. Attraverso il braccialetto la polizia può controllare tutti i movimenti del partner violento, non solo se si avvicina all’abitazione della donna, ma anche in tutti quei luoghi normalmente frequentati da lei, oppure alla scuola dei bambini, a casa di familiari e amici o sul posto di lavoro. Se invece la intercetta durante il tragitto tra un luogo e l’altro, la donna più attivare il Gps. In questo modo la polizia può capire subito dove si trova e inviare una pattuglia. «Tutto questi interventi naturalmente prevedono dei costi», conclude Angela Romanin. «Ma questi Paesi hanno evidentemente fatto una scelta diversa dalla nostra: hanno preferito investire sulla prevenzione e su contrasto della violenza invece di subirne i costi indiretti come fa l’Italia».(1- continua)