È una strana campagna elettorale. I due partiti che più strillano contro i «voltagabbana» stanno producendo trasformisti precoci, come i Cinque Stelle che hanno già espulso dai loro gruppi una decina di parlamentari non in regola con i versamenti, oppure li stanno incoraggiando, come Forza Italia che – ha detto ieri Berlusconi – conta sull’appoggio di questi transfughi per raggiungere la maggioranza. «Saremmo molto convenienti per loro perché potrebbero incassare integralmente l’indennità parlamentare», ha detto il Cavaliere, andando sul pratico. Ma ha aggiunto: «Spero che non avremo bisogno di loro», mentre Di Maio lo accusava, addirittura, di «atteggiamento peggiore della camorra».

Anche il primo governo Berlusconi, un quarto di secolo fa, nacque grazie al voto di fiducia di quattro senatori «transfughi», centristi eletti contro Forza Italia e subito convertiti. Adesso però Berlusconi fa dell’introduzione del mandato imperativo un caposaldo del suo programma elettorale. Non che il Cavaliere sia mai stato un fan della libertà dei parlamentari, arrivò a proporre il voto per i soli capigruppo, ma questa volta la sua ossessione va presa sul serio. Perché a conti fatti si tratta di un’idea di riforma costituzionale che ha già i numeri per essere approvata dal prossimo parlamento.

L’idea di introdurre il vincolo di mandato vede contrari infatti solo Liberi e Uguali, Potere al Popolo e Pd, ma è del tutto in linea con l’antiparlamentarismo coltivato in questi anni dal partito di Renzi (i seggi come «poltrone», i senatori come «inutili doppioni»). Nei passaggi più delicati della scorsa legislatura, i renziani sono arrivati a teorizzare che la libertà di mandato non vale per i lavori di commissione, e così hanno sostituito i commissari non allineati sulle «riforme». La Lega condivide la proposta del Cavaliere, Fratelli d’Italia ci ha fatto pure una manifestazione. E i 5 Stelle non solo hanno annunciato la loro intenzione di abolire il divieto di mandato imperativo, ma hanno riproposto per i loro nuovi parlamentari quell’inapplicabile «scrittura privata» che condannerebbe chi lascia il gruppo a pagare 100mila euro al Movimento.

Messi tutti assieme sulla base degli ultimi sondaggi e simulazioni, questi parlamentari (destre unite più pentastellati) raggiungerebbero tranquillamente la maggioranza per una riforma costituzionale dell’articolo 67 della Costituzione («Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»). Maggioranza qualificata dei due terzi, quindi nessuna possibilità di ricorrere al referendum per fermarla.
Berlusconi ha detto ieri che si augura di poter evitare il referendum costituzionale – quello che due volte su tre ha visto prevalere i no – anche per le sue ulteriori proposte di riforma «costituzionale»: l’elezione diretta del presidente della Repubblica e l’abolizione del grado di appello per chi è assolto in primo grado. «Spero – ha spiegato – che nessuno voglia fare un referendum su cose così giuste». Peccato che la prima proposta rappresenti uno stravolgimento totale del sistema di governo della Repubblica, visto che l’elezione diretta del presidente andrebbe accompagnata per forza di cose da una ridefinizione dei poteri sia del capo dello stato che del governo (i rapporti di forza tra le due istituzioni cambierebbero in ogni caso). Non si tratta dunque di una «riformetta» semplice come illustrata dal Cavaliere, che vorrebbe presentarla, dice, «entro la prossima estate». La seconda poi, l’abolizione dell’appello, non è neanche una riforma costituzionale (nella carta è previsto solo il grado di Cassazione), tant’è vero che il Pd ha già cancellato il secondo grado con un semplice decreto (Minniti-Orlando), ma solo per i richiedenti asilo.

Per Berlusconi le distinzioni tra leggi costituzionali e leggi ordinarie evidentemente restano noiosi dettagli. E così, sempre ieri, ha aggiunto all’elenco delle riforme una proposta che punterebbe a realizzare «in tre mesi», la sempreverde separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Riforma che invece, questa sì, richiede la lunga procedura di revisione costituzionale.