«Da parte dei russi c’è stata una risposta simmetrica, quindi il caso è chiuso». Sono state queste le parole del ministro degli esteri polacco Grzegorz Schetyna ai giornalisti che lo incalzavano dopo l’espulsione di alcuni diplomatici polacchi da parte delle autorità russe. La settimana scorsa un impiegato dell’ambasciata russa a Varsavia era stato espulso per «sospette attività di spionaggio». Fin qui i fatti: uno a uno e palla a centro. Amici come prima? Non proprio. La vicenda è un tantino più complessa e coinvolge un colonnello dell’esercito polacco – Zbigniew J., in servizio al ministero della difesa – arrestato lo scorso ottobre con l’accusa si fare la spia per i russi. Fonti riservate rivelano che il colonnello è stato pedinato a lungo dai servizi segreti interni e in molte occasioni avrebbe passato informazioni ai russi durante le celebrazioni ufficiali tenutesi in alcuni cimiteri militari polacchi. La crisi ucraina sta creando frizioni crescenti tra Varsavia e Mosca. La guerra delle sanzioni ha penalizzato l’export dell’agro-alimentare polacco e la Polonia si sente in prima linea anche sul fronte militare.

In Polonia, però, in questi giorni si fanno i conti pure con i risultati elettorali delle amministrative, un test importante per tutte le forze politiche del Paese in vista delle elezioni politiche del 2015. Domenica si è votato per il rinnovo dei consigli regionali (voivodati) e in tutti i comuni per la scelta del sindaco, e le sorprese non sono mancate. Benché sul pallottoliere delle regionali si registra una sostanziale parità tra i due maggiori partiti (8 voivodati a testa), il conteggio dei voti usciti fuori dalle urne ha decretato la vittoria del partito ultraconservatore Prawo i sprawiedliwosc (Legge e giustizia, Pis) a scapito dei conservatori «business friendly» di Platforma obywatelska (Piattaforma civica, Po), l’attuale partito di governo. Un risultato che in pochi si aspettavano dopo l’elezione dell’ex primo ministro Donald Tusk (nella foto reuters) alla presidenza dell’Ue, che aveva fatto schizzare in alto nei sondaggi il suo partito.

Evidentemente l’effetto Tusk non è riuscito ad entrare nella cabina elettorale di molti polacchi. La destra di Jaroslaw Kaczynski è il primo partito col 31,5% dei consensi, seguito da Po al 27,3% . Al terzo posto, il partito dei contadini Psl col 17%, vera sorpresa di questa tornata elettorale. Gli ex comunisti di Sld, guidati dall’ex primo ministro ed ex dirigente comunista Leszek Miller, non sono andati oltre l’8,8%. Ha perso colpi, invece, l’estrema destra di Janusz Korwin-Mikke al 4,2%, che ha dimezzato i propri voti rispetto all’exploit delle scorse europee. Dicevamo che questo era un test elettorale importante per misurare il termometro politico in vista delle politiche del prossimo anno e per i conservatori moderati di Po è suonato il campanello d’allarme.

La Polonia è spaccata a metà: le 8 regioni centro-orientali sono andate nelle mani di Pis, mentre le 8 regioni occidentali a Po. Dalle prime analisi, Pis risulta essere il partito più votato nelle campagne e nei piccoli centri. Po, invece, mantiene l’elettorato delle grandi città. L’affluenza è stata del 46,4%, un dato che la dice lunga sulla fiducia dei polacchi nel sistema dei partiti vigente. Un’altra rilevazione interessante è quella sul voto degli under 30, la cui maggioranza ha deciso di votare per Pis e per l’estrema destra di Korwin-Mikke. In Polonia, a quanto pare, la partita per il governo del Paese continua a essere giocata tutta a destra.

La sinistra sembra incapace di rimediare ai fallimenti del passato e soprattutto sembra non accorgersi che c’è un elettorato di giovani che aspetta qualcosa di nuovo all’orizzonte, non certo il riciclo di vecchia e nuova nomenklatura di partito che strizza l’occhio al neoliberismo annacquato delle socialdemocrazie europee. Il turbo-capitalismo polacco è stato fino ad ora il protagonista assoluto del cosiddetto «miracolo economico» degli ultimi anni. Ma oltre agli investimenti, ha portato con se anche speculazione edilizia, corruzione, diseguaglianze sociali. Jaroslaw Kaczynski dopo la vittoria ha detto: «Mai più Po al governo». C’è qualcuno in grado di fermarlo?