Per le presidenziali in Colombia si va al ballottaggio, il prossimo 25 giugno. Al primo turno, domenica, il candidato del Centro democratico, Oscar Ivan Zuluaga ha ottenuto il 29,26% dei voti, contro il 25,68% dell’attuale presidente Manuel Santos (in lista per un secondo e ultimo mandato). Uno scontro tra l’estrema destra dell’ex presidente Alvaro Uribe (in carica dal 2002 al 2010 e ora senatore) e la destra del suo ex ministro della Difesa, il neoliberista Santos. Al terzo posto, la candidata del Partito conservatore, Marta Lucia Ramirez, con il 15,23%, tallonata da un’avversaria di segno opposto, Clara Lopez, che ha corso per il Polo democratico alternativo-Union patriotica (Up) e ha totalizzato il 15,23%. Da ultimo, Enrique Peñalosa, della Alianza Verde, con il’8,28%.

Quasi 20 milioni di colombiani, sui 33 milioni di aventi diritto, hanno però scelto di non votare: sei su dieci. L’astensione ha sfiorato il 60%, la più alta in un’elezione presidenziale dal ’94 (allora fu del 66%). Per le legislative di marzo, era rimasto a casa oltre il 50% degli elettori. E la compagine di Santos (il Partito sociale dell’Unità nazionale, noto anche come «partito della U» – una coalizione composta dal Partito liberale, Cambio Radicale e altre formazioni minori) ha dovuto registra l’importante secondo posto ottenuto da Uribe al senato. In aumento, domenica, anche le schede bianche, soprattutto a Bogotà.

Al secondo turno – ha detto Santos – «i colombiani dovranno scegliere tra chi vuole la fine della guerra e chi preferisce una guerra senza fine». Il riferimento è al processo di pace con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc), in corso dall’Avana dal 19 novembre del 2012. E trattative sono in corso anche con i guerriglieri guevaristi dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln). Il 16 maggio, Farc e Eln hanno sottoscritto una tregua unilaterale, che scade domani. Guerriglie di lungo corso (le Farc compiono domani cinquant’anni di attività politico-militare, l’Eln li compie a luglio) motivate dalle profonde disuguaglianze e dalla persistente violenza che connotano il quadro politico colombiano. La disaffezione dalle urne (simile a gli standard europei) marca la distanza dalle democrazie socialiste come Venezuela, Ecuador e Bolivia, che hanno scommesso sulla democrazia partecipativa.

La figura di Aida Avella, che ha corso con Clara Lopez per la vicepresidenza nell’unica formazione di sinistra, lo testimonia. Avella è una dei pochi dirigenti dell’Up sopravvissuta allo sterminio della sua formazione da parte dell’esercito e dei paramilitari negli anni ’80. Il 17 maggio del 1996, è sfuggita per un soffio a un attentato ed è andata in esilio in Svizzera per 18 anni. È rientrata in Colombia alla fine dell’anno scorso, nel pieno delle trattative di pace, tema forte di una campagna viziata dagli scandali e dalle risposte mancate alle categorie sociali (contadini, operai, maestri) che scioperano contro le politiche di privatizzazione.

Il cammino verso una possibile soluzione politica, seppur irto di ostacoli, trova un ampio consenso nella popolazione. È appoggiato dai settori progressisti e dalla chiesa cattolica che, attraverso la Conferenza episcopale, ha diffuso il documento «Proposte minimali per la riconciliazione e la pace in Colombia». Santos, attraverso la sua ministra degli Esteri – attualmente impegnata nelle trattative fra governo venezuelano e opposizione, nell’ambito di Unasur – ha incassato anche l’appoggio di papa Bergoglio. E gli Usa hanno dato il placet alle trattative, scegliendo il cavallo della borghesia «modernista» costituito da Santos. Finora, all’Avana, si sono raggiunti accordi su tre dei cinque punti in agenda: «la politica agraria» (all’origine del conflitto), «la partecipazione politica» della guerriglia e, recentemente, «la politica di lotta alla droga».

Le guerriglie pongono problemi reali e di prospettiva, interpretando le istanze dell’«altra Colombia», invisibile e marginalizzata. Non quella a cui vanno le briciole della terza economia regionale dopo il Brasile e il Messico, ricca di appetibili risorse naturali e sede permanente delle basi militari Usa. Non la Colombia urbana, inserita nell’economia mondiale, che beneficia di una costante crescita (più 4,3% secondo il Fondo monetario internazionale). Piuttosto la Colombia rurale, dove i dodici milioni di contadini scioperano contro i Trattati di libero commercio (Tlc) rinnovati attraverso l’Alleanza del Pacifico.

Zuluaga, megafono di Uribe, minaccia di sospendere il dialogo e di rilanciare «la guerra totale al terrorismo» o almeno di condizionarlo a forche caudine inaccettabili per la controparte.