«Mi sono fatto licenziare almeno cinque volte da Steven Spielberg sul set di Incontri ravvicinati del 3° tipo», raccontava ridendo Vilmos Zsigmond. «Mi licenziava la sera, e mi riprendeva la mattina dopo. Non trovava mai nessuno che se la sentiva di sostituirmi e di gestire tutte le luci che voleva sul set». Nato il 16 giugno del 1930 a Szeged, in Ungheria, Vilmos Zsigmond è stato uno principali direttori della fotografia della nuova Hollywood. Una filmografia che annovera capolavori come I compari, Images e Il lungo addio di Robert Altman, Sugarland Express e Incontri ravvicinati del 3° tipo, Un tranquillo weekend di paura di John Boorman, Complesso di colpa e Blow Out di Brian De Palma (ai quali si aggiungono anche Il falò delle vanità e Dalia nera), Il cacciatore e I cancelli del cielo di Michael Cimino, Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg, Un grande amore da 50 dollari e The Rose di Mark Rydell (con il quale realizza in seguito anche Il fiume dell’Ira e Trappola d’amore).

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Ammalato da tempo, Vilmos Zsigmond continuava a frequentare il festival CameraImage di Bydgoszcz. Non aveva mai perso il suo accento ungherese. Insieme a László Kovács, suo amico fraterno, altro elemento cardine della Nuova Hollywood, Zsigmond inizia la sua avventura nel cinema a Budapest negli anni Cinquanta immediatamente precedenti la rivoluzione ungherese e la successiva invasione e repressione sovietica. Assieme a Kovács aveva vissuto e documentato la rivolta.

«Quando la gente ha iniziato a scendere in piazza, a ribellarsi, sui tetti c’erano i cecchini dei collaborazionisti sovietici che sparavano sulla folla. László mi disse:’Andiamo!’, e io compresi immediatamente che lui intendeva non scappare, ma tornare al dipartimento, prendere le macchine da presa e filmare. Mi ricordo la violenza degli insorti dopo aver catturato alcuni dei cecchini che furono linciati per strada. Quando sono entrati i carri armati sovietici in città abbiamo capito che nessuno sarebbe venuto in nostro aiuto nonostante i numerosi appelli di quei giorni disperati. Gli insorti hanno continuato a combattere sino allo stremo delle loro forze e noi a filmare ciò che vedevano i nostri occhi. Poi quando ormai non c’era più nulla da fare, abbiamo preso tutto il materiale girato, che era anche molto pesante, e ci siamo diretti a piedi alla frontiera austriaca con il terrore di essere sorpresi dai sovietici che eravamo sicuri ci stessero già aspettando con i fucili spianati».

Giunto negli Stati uniti, inizia la proverbiale trafila di lavori sottopagati e compare persino non accreditato nel «leggendario» Satan’s Sadists di Al Adamson). Il 1971 anno è l’anno chiave: Robert Altman gli affida la fotografia de I compari, il suo anti-western interpretato da Warren Beatty e Julie Christie. «Robert Altman non lavorava mai affidandosi alla sceneggiatura. Elaborava la scena la sera prima, scrivendo i dialoghi insieme agli attori. Quando la mattina mi dava le pagine che aveva elaborato e io obiettavo che avevo, per esempio, preparato la scena che avevamo deciso di girare in esterni, lui mi ribatteva tranquillo: Non c’è problema: quanto tempo ti serve per organizzare la nuova scena? Io rispondevo: ’Beh, almeno tutta la mattinata?’. E lui: ’Non preoccuparti. Fai quello che devi fare e fammi sapere quando sei pronto’. Poi non lo vedevo più, non mi metteva fretta».

Un esempio della capacità di Zsigmond di interagire con l’ambiente accogliendone suggestioni e suggerimenti indiretti è dato dall’incipit de Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg. «Ancora oggi mi chiedono: ma quanti ventilatori avevate sul set per scuotere gli alberi in quel modo? Ventilatori? Zero! Dovevamo girare la scena ma stava per abbattersi su di noi un terribile nubifragio. Il cielo era nero e lo si vede benissimo nel film. Si era levato un vento violentissimo ma d’accordo con il regista decidemmo di girare lo stesso per non perdere la giornata. C’era davvero un altro desiderio di fare cinema e di mettersi in gioco».

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Come in Complesso di colpa di Brian De Palma. «Si trattava di un piccolo film fatto a costo quasi sindacale con attori e tecnici pagati con una partecipazione negli utili eventuali del film. Brian De Palma era estremamente meticoloso. Di ogni scena disegnava storyboard molto dettagliati, prevedendo i movimenti della macchina da presa. De Palma è senz’altro una delle persone tecnicamente più avanzate con le quali abbia mai lavorato. Molti anni dopo ci siamo ritrovato per La dalia nera e gli ho chiesto come mai non disegnasse più. Mi rispose che non ne aveva più bisogno perché sapeva esattamente cosa voleva fare e come ottenerl»”. Centrale nell’affermazione di Zsigmond è stato l’incontro con Steven Spielberg con il quale collabora la prima volta per Sugarland Express e poi per Incontri ravvicinati del 3° tipo, film che gli permette di conquistare un Oscar. «Quando abbiamo iniziato a pensare a Incontri ravvicinati, Steven mi aveva detto che lo voleva realizzare come una specie di documentario a basso costo, con uno stile da cinema verità. Poi man mano che andavamo avanti le cose sono cambiate e sono diventate più impegnative. Parlando con Steven, mentre l’idea del film gli si sviluppava nella testa, mi chiese come pensavo di illuminare il set. Io gli risposi che mi sarebbe piaciuto farlo strutturando in maniera drammatica e coerente ogni fonte luminosa. Così poco alla volta le luci sono aumentate a dismisura… ».

Un caso a parte è l’esperienza con Michael Cimino. «Il successo de Il cacciatore aveva dato fastidio a tantissime persone. La critica, soprattutto di sinistra, si era convinta che Il cacciatore fosse un film di destra. Per cui, quando iniziò la lavorazione de I cancelli del cielo la prima cosa che fece Michael fu di vietare l’ingresso sul set alla stampa. Iniziò così una violentissima campagna dei media contro Cimino e il suo film, accusati entrambi di dilapidare soldi in un progetto faraonico. Quando I cancelli del cielo fu finalmente distribuito, la critica si scatenò e lo distrusse. Un autentico massacro. In molti hanno affermato che con I cancelli del cielo si chiudeva un’epoca irripetibile del cinema hollywoodiano e in parte è vero. Ma la causa non fu Michael Cimino e I cancelli del cielo. I tempi stavano cambiando. I produttori erano stanchi di registi che non ne volevano sapere di condizionamenti e controlli. Il fallimento de I cancelli del cielo non fu altro che l’occasione per chiudere definitivamente una stagione che non aveva fatto altro che produrre ottimi film e lavoro. I risultati di questa decisione oggi sono sotto gli occhi di tutti».