Negli Usa è arrivato ufficialmente il giorno delle elezioni, dopo un anno e mezzo di campagna elettorale senza esclusione di colpi. Fino ad oggi ha già votato il numero record di 93 milioni di persone, un’affluenza enorme che a inizio 2020 sembrava inconcepibile.

COME STRATEGIA elettorale Joe Biden negli ultimi giorni, dopo mesi di interventi rarefatti e centellinati ha rafforzato la presenza nello Stato che più di ogni altro potrebbe decidere le elezioni, la Pennsylvania, presentandosi come il candidato più attrezzato per fermare la pandemia di coronavirus e sanare il declino economico.

Trump, invece, è ovunque, macinando fino a cinque comizi al giorno in Stati diversi, attirando migliaia di persone e promettendo qualsiasi cosa la sua base voglia sentirsi dire, anche che, se rieletto, come prima cosa licenzierà il direttore del Center for the Disease Control and Prevention, Anthony Fauci, diventato uno dei bersagli preferiti dei negazionisti del Covid statunitensi.

A FINE CAMPAGNA elettorale è ormai chiaro che la linea politica di Trump viene decisa dalla parte più destrorsa e aggressiva della base repubblicana, che è una minoranza della minoranza del Paese, ma rappresenta lo zoccolo duro su cui può contare il tycoon, e che non lo abbandonerà mai.

È stata proprio questa parte di sostenitori che si è resa protagonista di due blitz di fine campagna: il blocco del traffico su ponti e autostrade fra New York e il New Jersey, e l’accerchiamento di un bus di elettori di Biden. Tanto New York che il New Jersey sono Stati storicamente democratici, e proprio lì un corteo di automobili con le bandiere di Trump ha fermato il traffico, sulla Garden State Parkway, e bloccato il ponte Mario Cuomo, un obiettivo evocativo e simbolico per i repubblicani, che hanno preso di mira il nome dal defunto padre del governatore di New York, Andrew Cuomo, arci nemico di Trump.

IN TEXAS, invece, quasi 100 auto guidate dai sostenitori di The Donald hanno circondato un autobus che trasportava sostenitori di Biden-Harris, costringendolo a fermarsi. Michelle Lee, una portavoce del San Antonio Field Office dell’Fbi, ha confermato che il Bureau è «a conoscenza dell’incidente e sta indagando»; Trump, dal canto suo, ha difeso le azioni del gruppo di supporter che su Twitter ha definito «patrioti», aggiungendo che «non hanno fatto nulla di sbagliato».

Ha poi continuato a denunciare quelli che ha definito «gli anarchici, rivoltosi e saccheggiatori antifa, che hanno causato così tanti danni e distruzioni nelle città gestite dai democratici», avvertendo che sono «osservati seriamente!».

Una cosa è certa nel giorno di queste difficili elezioni americane: l’elezione non sarà una passeggiata breve, e non importa chi vincerà, per entrambi i partiti il post elezione sarà complicato. I democratici saranno divisi tra giovani progressisti e una vecchia guardia moderata, mentre il partito repubblicano, ridefinito a immagine di Trump, dovrà iniziare a valutare dove vuole andare.

Tradizionalmente le elezioni presidenziali forniscono chiarezza su come un partito vede il suo futuro politico. La vittoria di Obama del 2008 aveva rinvigorito l’immagine pubblica progressista del suo partito. Otto anni prima, George W. Bush aveva ridefinito il Gop. Oggi, con entrambi i candidati alla presidenza contenti di trasformare la corsa in un referendum su Trump, le domande su di lui hanno oscurato i dibattiti su come governare un Paese nel mezzo di due crisi nazionali, sanitaria ed economica.