«Se c’è una guerra di cui vorrei parlare è quella che il nostro governo sta dichiarando in questo momento alla magistratura italiana». Primo maggio 2003, Daniele Silvestri sale sul palco del Concertone e prima di cantare «Il mio nemico» pronuncia queste parole.

Panico nel retropalco, fiumi di polemiche. Il governo in questione era guidato da Berlusconi, il nome del cantante compare oggi nella lunghissima lista dei candidati al consiglio d’amministrazione Rai (183 i curriculum arrivati al Senato, 132 alla Camera), ma è un omonimo.

L’interminabile show sul caso Fedez potrebbe concludersi così: Daniele Silvestri (il cantante) al vertice di viale Mazzini e in contemporanea il famoso passo indietro dei partiti e magari anche della commissione di vigilanza Rai. E invece per ora nella stessa commissione va in onda, in diretta a siti unificati, un’altra puntata del reality.

C’è l’audizione di Franco Di Mare. Il direttore di Raitre, rete che ha mandato in onda il concerto, è lì per negare le responsabilità della tv pubblica rispetto al tentativo di convincere Fedez a modificare il suo monologo con l’elenco di frasi violentemente omofobe pronunciate da leghisti. Per farlo Di Mare legge e chiosa quasi parola per parola lo scambio di mail tra gli organizzatori della kermesse, la iCompany, e la vicedirettrice di Raitre, Ilaria Capitani.

Nonché il testo della telefonata, quello tagliato postato da Fedez e quello integrale («preso da Repubblica», sostiene Di Mare), tra il cantante, gli organizzatori e Capitani, che non partecipava alla telefonata in viva voce ma sarebbe intervenuta solo quando i toni si sono fatti concitati, dice ancora il direttore. Conclusione di Di Mare: quella di Fedez è stata una «manipolazione». E legge la definizione sul Devoto Oli.

Segue dibattito: la dem Valeria Fedeli ritiene l’accusa molto grave e sfida il direttore a presentarsi in Procura per denunciarlo. Il forzista Gasparri, versione da bar ante Covid, spiega serio che «il dibattito sulla legge Zan non si fa a panzate». Santanchè parla di «compagni di merende». Il renziano Faraone protesta a più riprese, se la prende prima con il presidente della commissione Alberto Barachini (Gasparri lo chiama «Baracchini», è del suo stesso partito ma fa niente) e poi con Di Mare.

Motivo: non ha detto niente sul servizio di Report in cui Renzi incontrava il dirigente dei servizi Marco Mancini. Il direttore ne parlerà durante la replica, difendendo la messa in onda dell’incontro: «Era una notizia». Ma Faraone si scalda: «Vogliamo sapere come è venuto fuori questo video».

Si torna però a Fedez, ormai il reality si inoltra nella seconda serata. Le scuse che Raitre si aspetta dal cantante come dice Di Mare «non arriveranno mai». E i parlamentari adesso hanno altro a cui pensare: ci sono quei 315 nomi di candidati al cda da spulciare. Al passo indietro ci si penserà.