La «Firenze che mi interessava era in via di dissoluzione. Le inique sanzioni erano riuscite a svuotarla di gran parte delle sue reliquie viventi (…) Però entro questi limiti assai gravi io sono riuscito a dare, sia pure in poche pagine, non un capitolo ma due righe di un ipotetico libro che un giorno qualcuno dovrà decidersi a scrivere e porterà press’a poco questo titolo: Stranieri a Firenze». Così si esprimeva Eugenio Montale, a proposito dei suoi racconti usciti in Farfalla di Dinard (1956). In uno di questi, Il colpevole, il poeta rievocò il proprio licenziamento dal «Gabinetto scientifico-letterario G. P. Vieusseux», che dirigeva dal 1929, per la mancata adesione al Partito nazionale fascista. L’«ipotetico libro» intitolato Stranieri a Firenze attende ancora di essere scritto, o concluso; ma non c’è dubbio che un ruolo di primissimo piano in quella storia toccherebbe proprio al «Vieusseux», dove confluì tra Otto e Novecento l’intellighenzia italiana e straniera di stanza o passaggio a Firenze.
Il «Gabinetto Vieusseux» ha da poco festeggiato i duecento anni dalla fondazione, avvenuta nel 1819 per iniziativa di Giovan Pietro Vieusseux, nato a Oneglia da una famiglia ginevrina. Ne ricostruisce ora il primo secolo di storia il bel catalogo della mostra fiorentina organizzata a Palazzo Corsini Suarez, dove ha sede l’Archivio Contemporaneo del «Vieusseux» (istituito nel 1975 dall’allora direttore Alessandro Bonsanti, e a lui intitolato): Il Vieusseux dei Vieusseux Libri e lettori tra Otto e Novecento (1820-1923), a cura di Laura Desideri in collaborazione con Francesco Conti (Premessa di Gloria Manghetti, Edizioni Polistampa, pp. 192, euro 25,00). L’esposizione, inaugurata a gennaio e sospesa a causa dell’emergenza Covid, riapre il 18 giugno e sarà prorogata fino a dicembre. Ma intanto il volume a cura di Laura Desideri, grazie anche a un ricco apparato d’immagini e riproduzioni di documenti di grande interesse storico-culturale e letterario, permette di seguire la vicenda di un’istituzione che è stata crocevia e tappa obbligata nel Grand Tour dei letterati europei.
Gli ospiti e i soci che, a partire dall’inaugurazione del 25 gennaio 1820, varcarono le porte del gabinetto di lettura (allora a Palazzo Buondelmonti, oggi a Palazzo Strozzi), vi trovarono i maggiori quotidiani europei, cui presto si aggiunse una biblioteca circolante, aggiornata con le ultime novità librarie da tutta Europa. In quei primi anni, il «Vieusseux» fu teatro anche dell’incontro fra Leopardi, caro a Giovan Pietro anche se non amato da tutti i componenti del circolo fiorentino, e Manzoni. Entrambi arrivarono in città nel 1827; la sera del 3 settembre, a Palazzo Buondelmonti, Don Lisander venne ricevuto da Vieusseux in persona, insieme a una ristretta cerchia di cui facevano parte Mamiani, Niccolini, Giordani e lo stesso Leopardi. «Hai veduto tu il suo romanzo» aveva scritto alcuni giorni prima il poeta a Pietro Brighenti «che fa tanto romore e val tanto poco?». Ma qualche tempo dopo, anche in seguito a quell’incontro fiorentino, Leopardi renderà più benevolo il suo (immotivato) giudizio: «Ho veduto il romanzo del Manzoni, il quale nonostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno».
Sono decine di migliaia i nomi sul Libro dei soci che nei primi cinquant’anni sottoscrissero un abbonamento al «Vieusseux»; tra questi – scorrendo le firme riprodotte nel catalogo – s’incontrano Schopenhauer e Henri Beyle (Stendhal), James Fenimore Cooper e Berlioz, Heine e Viollet-le-Duc, Liszt, Ruskin, Thackeray, Gide e molti altri. Dostoevskij si abbonò fin dal suo primo soggiorno a Firenze nell’agosto del 1862; più tardi (1869), si procurerà al «Vieusseux» una copia di Madame Bovary: del romanzo si parla nell’ultimo capitolo dell’Idiota, scritto a Firenze, dove si fa menzione di una «biblioteca circolante». Mezzo secolo più tardi saranno proprio le opere di Dostoevskij che un lettore precoce, Alberto Moravia, prenderà in prestito al «Vieusseux». Nel corso dell’Ottocento, specialmente dopo l’Unità, aumentarono le lettrici, dapprima soprattutto straniere (tra queste Louisa May Alcott), poi anche italiane e fiorentine; nel 1887 le donne erano già la metà degli abbonati e diventarono maggioranza nel primo decennio del nuovo secolo. La vitalità che il «Vieusseux» ancora oggi conserva è frutto proprio dell’impegno di due donne, la direttrice Gloria Manghetti e la presidente Alba Donati. Certo, il tessuto culturale in cui aveva prosperato l’impresa di Giovan Pietro e dei suoi primi eredi è per molte ragioni irripetibile; di stranieri a Firenze ce ne sono – o ce n’erano, fino a pochi mesi fa – moltissimi, ma una minima parte di loro considererebbe il «Vieusseux» un luogo emblematico del soggiorno italiano. Non per questo – osserva Manghetti nella sua Premessa, citando Alessandro Bonsanti – l’istituto e chi lo anima rinunciano a creare un ponte «fra il passato e il presente, anzi fra il passato e l’avvenire», con l’ambizione di legare «la cultura alla politica, la “letteratura” alla vita».